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Nucleare civile e militare: legame obbligato?

Ora che l’opzione nucleare in Italia pare – fino ad eventuali ripensamenti governativi sempre possibili – un ricordo, vale forse la pena di far riemergere ed analizzare alcuni degli aspetti controversi legati a questa fonte, messi da parte nell’immediatezza del referendum, e che possono interessarci in una visione più generale del problema. Uno di questi, sui quali vogliamo focalizzare il nostro “pezzo di apertura” sul nucleare, è la Proliferazione Nucleare e le applicazioni militari, un problema che non ha mai toccato direttamente l’Italia, ma che forse ora può essere utile approfondire.

L’energia nucleare è figlia delle applicazioni belliche: a partire dalla scoperta della fissione nel 1938, e fino al lancio del programma “Atomi per la Pace” negli anni ’50, nucleare significava bomba atomica: tutti gli scienziati e i tecnici coinvolti, tutte le scoperte sono di conclamata connotazione bellica.

Questo vizio di nascita, tuttavia, ha anche avuto un pregio: il tecnico nucleare, o almeno molti di loro, è divenuto una figura che si allontana dal semplice homo faber per acquisire, oltre la dignità di un vero e proprio scientist, anche la capacità di porsi di fronte a scelte etiche inusuali, facendone un concerned scientist.

L’intuizione e successivamente la verifica delle potenzialità distruttive delle nuove armi atomiche causarono infatti, oltre a una profonda impressione sull’opinione pubblica di tutto il mondo, una necessaria riflessione nell’ambito di chi a questi progetti lavorava o avrebbe potuto esservi coinvolto. Un esempio nel primo senso è quello di Bertholt Brecht, che sentì la necessità di modificare una delle scene finali del suo dramma “Vita di Galileo”[i]. In un primo tempo, l’autore aveva messo in rilievo il fatto che la Scienza si presentava come un formidabile strumento di progresso, capace di distruggere le superstizioni, con l’aiuto delle quali i potenti tengono incatenati gli schiavi. Dopo Hiroshima e Nagasaki, Brecht ritenne doveroso precisare che non è la scienza in sé ad essere fattore di progresso, bensì l’uso sociale che viene fatto di essa.

Gli scienziati, dunque, devono farsi carico di una precisa responsabilità etica circa l’uso delle proprie scoperte. Le implicazioni etiche della partecipazione allo sviluppo della tecnologia nucleare hanno fatto scuola per la questione “etica e scienza”, vexata quaestio per gli scienziati nucleari prima che per tutti gli altri. Fra gli scienziati atomici primigeni, sono molteplici gli esempi di percorsi umani e di coscienza che portarono – con diverse sfumature – a progressive prese di distanza dalla ricerca militare: Einstein, Fermi, Szilard, Bethe, Rasetti, Rotblat, Oppenheimer e molti altri passarono dalla partecipazione attiva al rifiuto o all’opposizione più o meno forte. In alcuni casi, il passaggio fu precoce, traumatico e non privo di conseguenze personali. In altri, fu anche dettato dalle mutate condizioni politiche o dall’opportunità. Alcuni altri, come Werner Heisenberg, sperimentarono la caduta del concetto di “Scienza neutrale” con drammatica evidenza. Fu in questa occasione che l’ideologia della neutralità della scienza, con l’esplicito rifiuto da parte degli scienziati di considerarsi corresponsabili dell’uso dei risultati delle proprie azioni, mostrò per la prima volta in modo clamoroso la sua inadeguatezza. Il culmine, di cui personalmente andiamo orgogliosi, è la condivisione dell’appello al disarmo lanciato nel 1955 dal più grande filosofo del 900, Bertrand Russel, e dal più grande scienziato nucleare, Albert Einstein. Sulla breve lettera di quell’appello ha basato chi vi scrive il suo entusiasmo di quindicenne appassionato di fisica nucleare.

L’energia nucleare è da molti decenni una realtà nell’ambito del panorama energetico mondiale. Tuttavia le sue origini, il suo periodo pionieristico, che si può datare fino all’entrata in produzione delle prime centrali di potenza nella seconda metà degli anni cinquanta, è ammantato – più che di storia – di un velo di mitologia.

Ciò può anche essere dovuto – per quanto riguarda gli anni ’40 e ’50 –  alla stretta connessione fra nucleare civile e militare che caratterizzò gli inizi di questa tecnologia, periodo la cui fine si può datare, come accennato, con il lancio del programma “Atoms for peace” nei primi anni ’50. Questo peccato originale ha reso per anni segreta – e quindi in sostanza aperta alla reinterpretazione mitologica  – molta documentazione di quel periodo. Tuttavia, questa documentazione è ora a disposizione degli studiosi.

La storia dell’energia nucleare, dagli inizi pionieristici fino al periodo di collegamento con il militare, ci serve per capire meglio la successiva evoluzione di questa fonte energetica, ed è utile per capirne da lontano le sue difficoltà e contraddizioni. L’epoca nella quale nucleare civile e militare cercarono di divorziare dalla loro iniziale cuginanza culmina nella sottoscrizione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare.

Il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) è un trattato internazionale sulle armi nucleari che si basa su tre principi: Disarmo, Non proliferazione, Uso pacifico del nucleare. Il TNP proibisce agli stati firmatari “non-nucleari” (denominati “haves not”) di ricevere o fabbricare armamenti nucleari o di procurarsi tecnologie e materiale utilizzabile per la loro costruzione e agli stati “nucleari” (“haves”) di fornire tecnologie nucleari belliche. Inoltre il trasferimento di tecnologie nucleari per scopi pacifici (fortemente incoraggiato dal TNP) deve avvenire sotto il controllo della IAEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica).

Il trattato fu sottoscritto da USA, Regno Unito e Unione Sovietica il 1° luglio 1968 ed entrò in vigore nel 1970. Francia e Cina (gli altri due “haves”) aderirono solo nel 1992.

Il TNP è costituito da un preambolo e da 11 articoli: l’obiettivo della non proliferazione si basa su due approcci teorici distinti:

  1. Disarmo;
  2. Controllo della crescita degli armamenti.

Il primo afferma che l’esistenza degli armamenti non è una conseguenza, ma la causa principale di insicurezza e dei conflitti: quindi, con la riduzione o l’eliminazione degli arsenali atomici si otterrebbe una assenza di conflitti. Tuttavia, il disarmo dà luogo al cosiddetto “dilemma della sicurezza”: ogni Stato, in assenza di solide garanzie internazionali, percepisce come minacce le misure adottate in funzione difensiva dagli Stati confinanti, optando per il mantenimento del proprio arsenale.

Il secondo, il controllo della crescita degli armamenti, partendo dal principio che le radici e la natura stessa dei conflitti sono talmente forti da non poter essere eliminati, ritiene che l’esistenza degli arsenali militari non sia la causa, ma piuttosto l’effetto delle tensioni internazionali, ma riconosce che una crescita incontrollata degli armamenti può contribuire a far sfociare una semplice crisi in un conflitto internazionale, sicché il controllo di tale crescita mira a mantenere il livello di crisi sotto la soglia di pericolo.

I due approcci, apparentemente contradditori, diventano complementari nel TNP, chiarendo il suo duplice obiettivo di scongiurare la proliferazione sia in senso “orizzontale” (l’aumento dei paesi in possesso dell’arma nucleare) che “verticale” (l’incremento della quantità e potenza degli ordigni dei cinque “haves”).

Il successo del TNP è testimoniato dal numero record di adesioni (189) e dalla decisione, presa durante la Conferenza di Revisione nel 1995, di prorogarlo a tempo indeterminato e senza condizioni. Dall’entrata in vigore del trattato si è creato un sostanziale regime di non proliferazione con il risultato di contenere la diffusione delle armi nucleari anche oltre le aspettative iniziali. Gli Stati, non membri del TNP, divenuti nucleari dopo il suo inizio di validità, sono Israele, India, Pakistan e Corea del Nord. Le zone più critiche sono la zona medio-orientale, Israele e Iran, e il polo India-Pakistan.

La garanzia definitiva contro la proliferazione nucleare è da ricercarsi sul piano politico, nella soluzione cioè dei problemi internazionali delle zone interessate e, d’altra parte, nel processo di disarmo degli stati nucleari che tolga all’arma nucleare quella caratteristica di simbolo di potere nazionale più che di strumento militare che ha rappresentato negli ultimi 50 anni. Il TNP, nel frattempo, resta il miglior strumento per limitare le armi nucleari.

Non è però possibile nascondersi, in conclusione, il forte legame fra nucleare civile e militare. Sebbene questo aspetto possa risultare, agli occhi dei più, secondario rispetto all’impatto ambientale, agli incidenti, alle scorie, ai costi, agli occhi invece di chi scrive detiene – pur essendo percezione personale – il posto principale fra le preoccupazioni di chi ha scelto quest’ambito come argomento di ricerca.

Massimo Zucchetti, Politecnico di Torino


[i] B. Brecht, Bertolt Brechts Leben des Galilei – Drei Fassungen, Modelle, Anmerkungen; in: Spektakulum 65 – Sonderband zum 100, Frankfurt a.M., Geburtstag von Bertolt Brecht, Suhrkamp, 1998

 

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