Per la Commissaria europea all'Energia "la rapida crescita del settore darebbe una spinta alle nostre economie creando posti di lavoro verdi di alta qualità".
Servono reti e semplificazioni burocratiche per far crescere le tecnologie rinnovabili offshore nell’UE
(Rinnovabili.it) – Le tecnologie rinnovabili offshore possono costituire la nuova spinta economica europea. Ne è convita la Commissione UE che al settore ha dedicato una strategia ad hoc per accrescere capacità produttiva e competenze. D’altra parte il Blocco può contare già oggi su un vantaggio tecnologico e geografico non da poco.
“L’UE, con i suoi cinque bacini marittimi, regioni ultraperiferiche e territori d’oltremare – ha spiegato la Commissaria all’energia Kadri Simson dal palco della COP26 – dispone di un enorme potenziale per l’offshore, in particolare l’eolico. L’Unione conta oggi su ben 12 GW di aerogeneratori in mare e 13 MW di sistemi a moto ondoso già installati. E la Strategia ha fissato obiettivi ambiziosi: 300 GW di capacità eolica in mare e 40 GW di tecnologie rinnovabili offshore come il solare galleggiante, gli impianti di marea e per lo sfruttamento delle onde, entro il 2050.
“Aumentare l’energia off-shore è ovvio dal punto di vista climatico, ma porta anche altri vantaggi”, ha aggiunto Simson. “L’Unione europea è un leader mondiale in questo settore, ospitando le più grandi società di turbine e possedendo la quota maggiore di brevetti aziendali sull’energia oceanica. Aumentarne la crescita darebbe una spinta alle nostre economie e creerebbe lavori verdi di alta qualità. Questa è sempre una considerazione importante, ma lo è ancora di più oggi, nella ripresa post-pandemia”.
Bruxelles prevede che i posti di lavoro nelle energie rinnovabili offshore triplicheranno nel continente entro il 2030. A titolo di confronto oggi l’eolico marino dà lavoro a 62.000 persone, l’energia oceanica a circa 2.500.
“Perché la rivoluzione offshore si concretizzi, ovviamente abbiamo bisogno di ambizione e investimenti, ma ci sono anche alcune considerazioni più pratiche. In primo luogo, necessitiamo di reti adeguate sia a terra che in mare. La pianificazione dell’infrastruttura offshore va oltre i confini nazionali e deve tenere conto dell’intero bacino marittimo“. In quest’ottica, un aiuto arriverà dalla revisione del regolamento sulle reti transeuropee per l’energia (TEN-E).
“In secondo luogo, dobbiamo snellire il processo di autorizzazione, che è diventato un serio collo di bottiglia per far decollare i progetti in mare. Secondo le regole Ue, i permessi dovrebbero essere concessi in due anni, mentre in realtà possono volerci anche sei o sette anni”.