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OCI sfata il mito del gas fossile come combustibile di transizione

Lo studio “Debunked: The G20 Clean Gas Myth” analizza lo sviluppo del gas fossile nei paesi del G20

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Entro il 2030 i paesi del G20 investiranno oltre 1.600 miliardi nel gas fossile

(Rinnovabili.it) – L’Unione Europea lo ha ripetuto quasi fino allo sfinimento: il gas naturale è il combustibile di transizione necessario al percorso di decarbonizzazione del Vecchio Continente. Celebrato come una promettente alternativa al carbone perché più economico, più pulito e in grado di generare energia on demand a differenza di eolico e fotovoltaico, il gas si è conquistato l’etichetta di “bridge fuel” o “transition fuel” e l’incarico di dare il via a un futuro senza emissioni all’interno degli sforzi dell’Accordo sul clima di Parigi. Non è solo l’Europa a riporvi speranze e interessi economici: nel 2018, questa fonte fossile è in cima all’agenda dei governi del G20 e a quella dei rispettivi ministri dell’Energia che si riuniranno in Argentina il 15 giugno per disegnare il programma energetico.

 

Il mito del gas fossile come ‘ponte” per un clima stabile non regge”, spiega l’organizzazione Oil Change International che ha pubblicato ieri lo studio “Debunked: The G20 Clean Gas Myth”. “Mentre gran parte del dibattito fino ad oggi si è concentrato sulle fughe di metano, i dati mostrano che le emissioni di gas serra derivanti dalla combustione del gas fossile sono sufficienti per superare gli obiettivi climatici. Dobbiamo ridurre la combustione di gas piuttosto che aumentarla”.

Il rapporto analizza i piani dei membri del G20 a favore del carburante e rivela: anche se domani tutte le miniere di carbone venissero chiuse, solo il gas e il petrolio nei giacimenti già in uso porterebbero il mondo oltre il bilancio del carbonio, con il conseguente 50% di possibilità di rimanere al di sotto dei 1,5ºC.

 

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Nonostante ciò, molti paesi del G20 stanno spingendo sullo sviluppo di infrastrutture per il gas fossile, usando il mito del combustibile di transizione con credenziali ecologiche. Secondo gli autori, i piani attuali per l’estrazione di questa fonte nei soli membri del G20 – escludendo il resto dei giacimenti nel mondo – rischiano di rivendicare un’enorme percentuale del bilancio delle emissioni. Si prevede che cinque paesi – Stati Uniti, Russia, Australia, Cina e Canada – saranno responsabili del 75% degli investimenti nella produzione di gas nelle venti economie tra il 2018 e il 2030.

A ciò si aggiunge oggi anche l’intenzione dell’Argentina – ospite del vertice G20 – di aprire agli investitori i suoi massicci giacimenti di gas di scisto di Vaca Muerta. “C’è un urgente bisogno che i responsabili politici e gli investitori utilizzino gli obiettivi climatici come punto di partenza per le decisioni relative al gas. Piuttosto che cercare modi per giustificare l’utilizzo dell’abbondante offerta che i nuovi metodi di perforazione hanno provocato, dovrebbero considerare la quantità carburante fossile compatibile con il raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi. La risposta è la stessa sia per il gas che per il carbone e il petrolio: abbiamo bisogno di meno, non di più”.

 

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