(Rinnovabili.it) – In Germania l’uscita dal nucleare la pagheranno anche i contribuenti. Nonostante i più grandi colossi che operano nel settore in Germania abbiano stanziato decine di miliardi di euro per finanziare il decommissioning entro il 2022, sembra questa l’ipotesi che si profila all’orizzonte. Gli analisti sostengono infatti che la crisi energetica abbia messo a rischio le disponibilità economiche delle utilities, e ora minacci la scelta politica del governo Merkel.
I quattro grandi operatori del nucleare in Germania – E.ON, RWE, EnBW e Vattenfall – hanno messo da parte 36 miliardi di euro per spegnere le centrali nucleari entro il termine fissato dal governo. Il denaro dovrà servire anche per mettere a punto le operazioni di stoccaggio delle scorie.
Le aziende, però, ora si trovano sotto pressione a causa dei bassi prezzi dell’energia all’ingrosso, il calo della domanda nella zona euro e la crescita dei sussidi alle rinnovabili, che stanno gradualmente mettendo fuori mercato le centrali a gas e carbone in cui alcuni operatori hanno incautamente investito. Per rispondere alla crisi, il colosso E.ON ha deciso di spostare altrove parte dei capitali alla fine dello scorso anno.
Le aziende assicurano che regolarmente adempiranno alle proprie responsabilità nel settore del nucleare: «I nostri fondi vengono controllati ogni anno in dettaglio da valutatori esterni», ha tentato di calmare gli animi il capo della finanza di E.ON. Questo però non significa necessariamente che il flusso di denaro continuerà nei prossimi decenni. La multinazionale, con 14.6 miliardi di euro, detiene la maggior fetta di capitale, con RWE e EnBW e Vattenfall in possesso di quote sempre minori.
Non è chiaro se i beni dietro questi patrimoni potranno essere trasformati in denaro sonante. Le aziende infatti si guardano bene dal rivelare quanta parte dei loro asset sia immediatamente traducibile in liquidità.
Gli analisti del settore sospettano che, mentre alcune quote sono investite in fondi azionari o fondi pensione, la gran parte è sostenuta da reti elettriche e impianti il cui valore è crollato. Nel corso dell’ultimo anno, E.ON, RWE, EnBW e Vattenfall hanno annunciato quasi 12 miliardi di euro di svalutazioni e oneri di svalutazione.
«Sta diventando chiaro che gli investimenti in centrali elettriche non possono essere convertiti in denaro così facilmente», ha detto Felix Matthes, del think tank ambientalista Oeko-Institut.
Matthes ha detto anche che E.ON e EnBW hanno investito la maggior parte dei fondi in attività sicure, ma Vattenfall e RWE si sono esposte maggiormente, puntando sulla lignite, che ha subito un importante calo di valore.
Alcuni politici temono che le aziende possano gettare la patata bollente in mano allo Stato, e che le le banche giudicate “troppo grandi per fallire” potrebbero essere nazionalizzate per ovviare al problema.