Lasciato nelle mani dei ministri dell’Ambiente mondiali, il tema del Mercato del carbonio comporterà l’attuazione dell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi
(Rinnovabili.it) – Il ruolo del Mercato del carbonio è uno dei temi caldi del negoziato fra le nazioni durante i colloqui sul Clima delle Nazioni Unite, in corso a Madrid fino al prossimo venerdì. Attualmente, secondo i dati della Banca mondiale, 46 nazioni e oltre 30 fra città, stati federati e regioni hanno stabilito un prezzo sulle emissioni di CO2, secondo diversi sistemi che coprono poco più del 20% delle emissioni globali annue di gas serra.
La tariffazione del carbonio può presentarsi sotto forma di imposta tradizionale o nell’ambito di un cosiddetto regime di cap-and-trade, un sistema che pone un limite alla quantità di inquinamento che le aziende possono produrre e che si basa sul principio secondo cui sia possibile acquistare e vendere diritti emissivi. Ciò significa che, se un’azienda riduce le sue emissioni, viene premiata finanziariamente e, se supera il limite, può acquistare quote di emissioni da altri.
I sistemi di scambio di carbonio, però, non sono uguali in tutto il mondo e, per tale ragione, uniformarli (o armonizzarli) rappresenta un’enorme sfida. Dai dati della Banca mondiale, si può evincere quale sia attualmente lo stato del Mercato del carbonio nel mondo e, soprattutto, nei paesi cosiddetti “grandi inquinatori”.
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In Cina, un sistema nazionale di scambio di quote di emissioni (ETS) sarà lanciato nel 2020 a seguito di numerosi progetti pilota in province e città tra cui Pechino, Guangdong e Shanghai. Il sistema interesserà la produzione di energia e varie industrie ad alta intensità energetica. Negli Stati Uniti, invece, non si ha un sistema ETS nazionale, ma un insieme di Stati come California, Connecticut, Delaware, Maine, Maryland, Massachusetts, New Hampshire, New York, Rhode Island e Vermont hanno costituito la Regional Greenhouse Gas Initiative (RGGI), decidendo di dotarsi di un programma obbligatorio, basato sul mercato negli Stati Uniti, per ridurre le emissioni di gas a effetto serra. RGGI funziona come un mercato del carbonio regionale che stabilisce un limite la quantità di inquinamento da CO2 che le centrali elettriche della regione interessata possono emettere e, allo stesso tempo, stabilisce un numero limitato di quote di CO2 negoziabili.
L’Unione Europea, dal canto suo, è il più grande ETS al mondo, obbligatorio per tutti i 28 Stati membri, oltre a Islanda, Liechtenstein e Norvegia, che copre centrali elettriche, aviazione ed industrie ad alta intensità energetica. Altre nazioni dotate di un sistema di scambio sono il Kazakistan (il mercato del carbonio copre, in questo caso, il settore energetico, l’industria mineraria e chimica), la Nuova Zelanda (elettricità e produttori di combustibili fossili liquidi tra cui benzina e diesel), Quebec (elettricità e industria ad alta intensità energetica) e Corea del Sud (coprendo circa 600 attività “grandi inquinatrici” responsabili di circa il 70% delle emissioni annuali del paese).
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Durante la COP25, un gruppo di esperti sta lavorando per capire in che modo il Mercato del carbonio possa essere stabilito al fine di permettere ai singoli paesi di raggiungere i loro obiettivi climatici, ai sensi dell’Accordo di Parigi. Tuttavia, le questioni più spinose dovranno essere affrontate dalla politica, e sono quindi lasciate nelle mani dei ministri dell’Ambiente.
A Madrid, l’attenzione dei diversi ministri sarà focalizzata soprattutto sull’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, che stabilisce le regole per creare un nuovo meccanismo globale di compensazione del carbonio. Una delle principali questioni riguarderà, soprattutto, il cosiddetto “doppio conteggio”, in base al quale la riduzione delle emissioni viene conteggiata sia dal paese che ha acquistato il credito, sia dal paese in cui è avvenuta l’effettiva riduzione delle emissioni. L’UE vorrebbe garantire che ciò non avvenisse. Per fare un esempio di doppio conteggio, si può pensare ad un paese che costruisce un impianto di energia rinnovabile in un paese in via di sviluppo, acquisendo così le quote di carbonio generate da questo progetto senza dover ridurre le proprie emissioni.
I negoziatori sono anche in contrasto su cosa fare con la contabilizzazione dei miliardi di crediti di carbonio già generati nell’ambito del Clean Development Mechanism previsto dal Protocollo di Kyoto del 1997. In questo caso, paesi come Brasile, Corea del Sud, Cina e India rappresentano quasi l’85% di tutti i crediti emessi fino ad oggi, e vorrebbero ovviamente poterne fare uso. Ma altri paesi sostengono che consentire il trasferimento di questi crediti potrebbe inondare il mercato del carbonio con crediti per risultati passati, che non permetterebbero di ottenere maggiori riduzioni delle emissioni future, secondo i criteri dell’accordo di Parigi.
L’articolo 6, di fatto, è l’unica parte dell’accordo che interagisce direttamente con il settore privato. Come ha affermato Sam Van den Plas, direttore dell’Unità Policy della ong Carbon Market Watch, bisogna però ricordare che “truffare il sistema climatico non ci porterà da nessuna parte”.