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L’Italia uscirà dal Trattato sulla Carta dell’Energia

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(Rinnovabili.it) – All’inizio del 2016, l’Italia uscirà dal Trattato sulla Carta dell’Energia (Energy Charter Treaty – ECT). Lo annuncia la Global Arbitration Review, rivista specializzata sull’arbitrato internazionale, citando fonti del Segretariato dell’ECT. Il nostro Paese non lo ha ancora annunciato pubblicamente, perché la notizia potrebbe avere notevoli ripercussioni di carattere politico.

 

In particolare, due sono i motivi per cui il governo starebbe nicchiando sull’argomento: da una parte non è il massimo dover ammettere ancora di essere stato citato in giudizio per lo Spalma Incentivi. A causa di questa misura, infatti, ora pende sulle casse pubbliche una possibile, pesante condanna economica. Dall’altra dovrebbe tacere perché contemporaneamente sta spingendo per l’inclusione dell’arbitrato internazionale (opaca procedura giudiziaria innescata da clausole contenute nei trattati commerciali) nel TTIP, il controverso accordo USA-UE in fase negoziale.

È difficile pertanto sostenere che si rescinde un trattato che obbligherebbe lo Stato a pagare sanzioni milionarie (o addirittura miliardarie), quando se ne appoggia un altro ben più pervasivo per l’economia, che potrebbe aumentare il rischio di procedure di arbitrato. Sarebbe un segno di palese incoerenza.

 

I contribuenti pagheranno comunque

L’Italia esce dal Trattato sulla Carta dell’Energia_Tuttavia, pur uscendo dalla ECT, l’Italia – se condannata – pagherà lo stesso. Ai sensi dell’articolo 47 del Trattato, per ritirarsi il Paese deve dare preavviso di un anno, e comunque l’accordo resterà in vigore per 20 anni ancora dopo il recesso, applicandosi agli investimenti energetici effettuati prima della data di interruzione.

Se il verdetto non sarà favorevole al nostro Paese, pertanto, le aziende del fotovoltaico colpite dai tagli retroattivi del decreto di Renzi verranno compensate con il denaro dei contribuenti. E sarà così per i prossimi 20 anni.

 

Anche la Russia, tra gli altri, ha deciso di svincolarsi nel 2009. Questo non le ha permesso, l’anno scorso, di scampare alla condanna più cara della storia degli arbitrati internazionali. Putin dovrà sborsare 50 miliardi di euro agli ex azionisti di maggioranza della Yukos Oil Company, compagnia energetica del rivale Khodorovsky oggetto di esproprio.

 

Multinazionali della legge

Nei due specifici casi, non si può negare che i governi abbiano agito maldestramente nei confronti degli investitori esteri. Tuttavia, la clausola ISDS contenuta nel Trattato, che tutela le imprese consentendo loro l’accesso agli arbitrati, è un meccanismo perverso che permette di bypassare la legislazione nazionale dei Paesi citati in giudizio. Le udienze si svolgono infatti presso tribunali privati, in cui una ristretta cerchia di avvocati commerciali fa il bello e il cattivo tempo da più di 20 anni. Si tratta di un’oligarchia giudiziaria che gonfia le proprie tasche in maniera proporzionale alle sentenze che emette in favore delle aziende (leggi anche: ISDS, l’arma delle multinazionali contro l’ambiente).

 

Ecco perché Jeff Sullivan di Allen & Overy (studio di avvocati che insieme ai colleghi di King & Spalding sta consigliando agli investitori di denunciare l’Italia) sostiene sia «sempre un peccato vedere stati ritirarsi da trattati multilaterali come l’ECT». Il dispiacere è sincero, perché ogni causa frutta agli avvocati tra i 700 e i 1.000 dollari l’ora.

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