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Keystone XL: la pandemia mette il turbo ai lavori dell’oleodotto

Bill McKibben, professore di Studi ambientali al Middlebury College, denuncia la strategia di Big Oil, Canana e USA che usano l'emergenza coronavirus per salvaguardare l'industria fossile.

Sfruttando l’obbligo di quarantena, la Big Oil accelera le mosse per la costruzione del controverso Keystone XL

(Rinnovabili.it) – “Non è nell’interesse dell’America e non avrebbe un contributo significativo per la nostra economia”. Con queste parole, nel 2015, l’ex presidente Obama bloccava l’oleodotto Keystone XL, estensione dell’omonimo Keystone Pipeline System. Uno stop che aveva fatto tirare un respiro di sollievo a gruppi ambientalisti e comunità native, che per circa otto anni avevano combattuto contro l’opera del colosso petrolifero Big Oil.

Il sollievo, però, si era rivelato temporaneo, poiché la nuova amministrazione Trump, pochi mesi dopo l’insediamento, aveva reinserito a forza l’opera nel piano di sviluppo energetico nazionale. A regime, il Keystone XL dovrebbe trasportare fino a 830mila barili di oli bituminosi da Alberta, in Canada, a Steele City, in Nebraska, dove si riallaccerebbe alla pipeline madre per portare il suo carico fino alle raffinerie sulla costa del Golfo.

Tuttavia, fino ad oggi l’infrastruttura non è mai stata costruita, sia perché il suo costruttore, TC Energy, ha avuto problemi con finanziamenti e permessi, sia perché 30.000 persone si sono impegnate in questi anni attraverso azioni di disobbedienza civile con l’obiettivo di bloccare i lavori. Ma, come sottolinea Bill McKibben, professore di Studi ambientali al Middlebury College (Vermont), ad un certo punto è arrivata l’epidemia di coronavirus.

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In un articolo pubblicato dal Guardian, MacKibben mostra la subdola strategia attraverso cui si sta cercando di rimettere in marcia il progetto dell’oleodotto sfruttando l’emergenza della pandemia. Complice il timore della recessione economica che colpirà duramente l’industria fossile, in questi giorni il premier dell’Alberta, Jason Kenney, ha investito 1,1 miliardi di dollari per finanziare la costruzione del Keystone XL nel corso dell’anno e ha messo da parte altri 6 miliardi per sovvenzionare un fondo di garanzia.

Nel frattempo, sul lato meridionale del confine canadese, una serie di stati americani ha rapidamente adottato leggi che rendono un crimine protestare contro “infrastrutture critiche” come i gasdotti e la CISA (Cybersecurity & Infrastructure Security Agency degli Stati Uniti) ha emesso un memorandum che esonera la costruzione di condutture dall’obbligo della quarantena.  L’Agenzia, infatti, afferma che è essenziale costruire oleodotti nel preciso momento in cui il mondo sta ‘nuotando nel petrolio’ e che l’amministrazione Trump sta cercando di convincere gli autocrati sauditi e russi a ridurre l’offerta.

Ma non finisce qui, perché la scorsa settimana TC Energy ha annunciato il trasferimento di gruppi di lavoratori lungo la rotta del gasdotto, anche se alcuni giornalisti locali nel Montana, come sottolinea MacKibben, avrebbero scoperto che, in realtà, i trasferimenti erano avvenuti all’incirca 48 ore prima, anticipando di pochissimo l’obbligo della quarantena. Qualche giorno fa, JP Morgan ha annunciato un’emissione di 1,25 miliardi di dollari di obbligazioni per TC Energy.

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Come scrive MacKibben, è difficile non pensare che Big Oil stia agendo con decisione perché sa che questo è l’unico momento in cui i manifestanti non riusciranno a farsi sentire. Inoltre, non si può fingere di non vedere il potenziale e grosso pericolo cui vanno incontro i lavoratori del Keystone XL che, per attività considerate essenziali, sono costretti a trasferirsi verso stati rurali i cui sistemi sanitari non sarebbero all’altezza di gestire potenziali focolai. Infine, la presenza degli operai potrebbe mettere in serio rischio anche le comunità native, che vivono nelle riserve attraversate dal percorso dell’oleodotto.