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In Islanda “minare” bitcoin richiede più energia dei consumi domestici

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 Il mining di bitcoin sta cambiando l’economia dell’Islanda

(Rinnovabili.it) – L’Islanda è divenuta il paradiso dei “minatori” di bitcoin. I bassi costi energetici e le connessioni internet in fibra super veloce, hanno reso il Paese il posto ideale dove far prosperare il processo di “mining” delle criptovalute. Inoltre, il clima freddo islandese agisce come un sistema di controllo naturale della temperatura per le grandi sale server, aiutando ad evitare il surriscaldamento. Queste condizioni ottimali stanno incrementando l’attività di mining nei confini nazionali e di conseguenza i consumi energetici delle cosiddette cripto-utility, al punto da riuscire a ridisegnare l’economia islandese.

 

Non è un mistero, infatti, che la generazione di bitcoin richieda grandi quantità di elettricità. Il processo impiega macchine in grado di fare milioni di calcoli matematici al secondo per verificare le transazioni avvenute usando la criptovaluta e aggiungere un nuovo blocco alla rete bitcoin, ossia una nuova struttura dati dove memorizzare tali transazioni. Ogni volta che ciò avviene, un certo numero di bitcoin viene rilasciato e distribuito proporzionalmente ai computer a seconda della potenza di calcolo che hanno fornito, come ricompensa per la quantità di energia elettrica consumata.

 

>>Leggi anche “Minare” bitcoin consuma 30 TWh in un anno<<

 

Digiconomist ha calcolato i consumi medi mondiali del mining, rivelando che la rete bitcoin richiede circa 30,14 TWh l’anno. Ogni singola transazione utilizza quasi 300 kWh di elettricità, un quantitativo sufficiente a far funzionare contemporaneamente circa 36 mila bollitori elettrici. Facile capire che un Paese come l’Islanda, di poco più di 330mila abitanti, la domanda energetica associata alle monete virtuali possa facilmente superare quella dei suoi cittadini.

Secondo Johann Snorri Sigurbergsson, un dipendente della compagnia energetica HS Orka, è esattamente quello che avverrà quest’anno: il “mining” di criptovalute islandesi dovrebbe raddoppiare il suo consumo di energia raggiungendo i 840 GWh di elettricità, 140 GWh in più rispetto ai consumi domestici.

 

Genesis Mining, uno dei più grandi “minatori” di criptovalute in Islanda, ha aperto tre stabilimenti nel Paese e già nel 2016 il suo CEO Marco Streng ipotizzava che la compagnia potesse divenire uno dei maggiori utenti unici per l’elettricità della nazione. L’ascesa delle attività di creazione della moneta virtuale ha spinto i membri del governo a prendere in considerazione nuove misure per tassare l’industria.

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