Una nuova ricerca afferma che, nel prossimo futuro, la domanda di combustibili fossili diminuirà con importanti conseguenze macroeconomiche e geopolitiche
Gli investimenti fossili possono trascinare i grandi produttori in una nuova crisi finanziaria
(Rinnovabili.it) – La fine dell’era fossile è più vicina di quanto prospettato sino a ieri. E la capacità di saper investire sul cambiamento tecnologico sarà il discrimine tra i futuri “vincitori” e “vinti”. Ne è fortemente convinto un nutrito gruppo di ricercatori sino-britannici che ha analizzato le conseguenze politiche ed economiche della transizione energetica. “Diverse importanti economie fanno molto affidamento sulla produzione e sulle esportazioni di combustibili fossili, ma l’attuale diffusione di tecnologie a basse emissioni di carbonio, l’efficienza energetica e la politica climatica potrebbero ridurne sostanzialmente la domanda globale”, si legge nello studio pubblicato dal team su Nature Climate Change.
In realtà, finora le indicazioni climatiche globali, Accordo di Parigi in primis, non hanno scoraggiato minimamente gli investimenti fossili. Uno degli atteggiamenti più diffusi, a livello delle grandi potenze, è quello di spostare molto avanti nel tempo qualsiasi scadenza o data d’impegno. Ma i ricercatori sono convinti che il cambiamento tecnologico, anche senza nuove politiche climatiche, sia destinato a ridurre drasticamente la crescita della domanda globale per carbone, gas e petrolio e che, a differenza di quanto ipotizzato dalla IEA, potrebbe raggiungere il picco nel prossimo futuro. Eventuali nuovi obiettivi e misure contro il climate change non farebbero altro che accelerare il tutto.
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In questo contesto i continui investimenti fossili rischiano di creare una pericolosa “bolla di carbonio” che potrebbe esplodere, determinando importanti conseguenze economiche e geopolitiche.
Gli scienziati hanno analizzato il trend di declino per le fonti convenzionali utilizzando nuove tecniche di modellizzazione che monitorano la diffusione di tecnologie low carbon sulla base di dati empirici. Hanno poi rintracciato ciò che questo significa per le singole economie nazionali. Il risultato è che la transizione si tradurrà in chiari benefici per Paesi importatori di fossili come la Cina e l’UE, e in seri danni economici per gli esportatori come la Russia, gli Stati Uniti o il Canada. Se quest’ultimi dovessero mantenere gli attuali livelli di produzione e investimenti fossili, nonostante la diminuzione della domanda, la perdita di ricchezza globale potrebbe essere enorme: fino a 1.000-4.000 miliardi di dollari, una perdita paragonabile a quella che ha scatenato la crisi finanziaria nel 2007. “Se i paesi dovessero continuare a riversare soldi in attrezzature per la ricerca, l’estrazione, il processo e il trasporto di combustibili fossili finiranno per perdere denaro su questi”, sottolineano i ricercatori. “Le nazioni dovrebbero invece sgonfiare con cura la bolla di carbonio attraverso investimenti in diverse industrie e divestment costante”.