Nel 2018, gli analisti di Carbon Tracker avevano stimato che la domanda di petrolio avrebbe raggiunto il picco nel 2023, per poi subire una crisi strutturale. Ma è possibile che la pandemia abbia accelerato questo processo.
L’emergenza coronavirus e la crisi dei prezzi potrebbero cambiare per sempre l’industria fossile a livello globale
(Rinnovabili.it) – Se il 2019 passerà alla storia come un anno che ha visto una drammatica impennata delle emissioni di carbonio, è anche vero che potrebbe essere ricordato come l’anno in cui il settore del petrolio, del gas e del carbone ha subito un cambiamento radicale. Secondo analisti ed esperti, infatti, l’industria fossile sta vivendo in questi giorni (e così sarà presumibilmente per i prossimi mesi) la più grande sfida dei suoi 100 anni di storia. Infatti, la crescente domanda di petrolio dovuta alla pandemia di coronavirus, combinata ad una selvaggia guerra dei prezzi tra i maggiori produttori mondiali, sta spingendo aziende e società verso una crisi senza precedenti.
Se è ancora troppo presto per capire se, al temine di questo vero e proprio terremoto, tutto tornerà come prima o cambierà radicalmente, il dato di fatto rimane la “carneficina” dell’industria fossile: le valutazioni dei mercati azionari si sono dimezzate, sono venuti a mancare almeno 2/3 degli investimenti annuali (pari a circa 130 miliardi di dollari), la capacità di stoccaggio di sta saturando sempre più velocemente e, in alcuni mercati, i prezzi del petrolio hanno raggiunto un valore negativo, con i venditori che devono pagare affinché il petrolio venga preso.
Se la domanda di petrolio è precipitata a causa del blocco dovuto alla pandemia, secondo Kingsmill Bond, analista di Carbon Tracker, proprio questo shock sta colpendo un’industria che era già in procinto di raggiungere un picco strutturale, creato dal sempre più diffuso impegno dei paesi a ridurre al minimo le emissioni future ai sensi dell’Accordo di Parigi. Nel 2018, infatti, Carbon Tracker aveva stimato che il picco della domanda sarebbe arrivato nel 2023, ma è possibile che la pandemia abbia accelerato il processo. “Possiamo quasi sicuramente affermare che il picco è stato il 2019, e forse ci sarà un altro mini-picco nel 2022, prima che inizi l’inesorabile declino”, ha affermato Bond.
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Tuttavia, non tutti gli esperti pensano che questo inesorabile declino dell’industria fossile sia necessariamente un bene per l’energia pulita e il clima. “Potrebbe essere una brutta notizia dal punto di vista climatico, perché può trattenere più a lungo la quota di petrolio sul mercato in quanto più economico“, ha dichiarato al Guardian Dieter Helm, professore di politica energetica all’Università di Oxford, il quale ha sottolineato a questo proposito l’importanza cruciale delle scelte politiche: “è qui che entra in gioco la tassa sul carbonio. Ora è il momento”.
In questo periodo, i governi stanno impiegando somme straordinarie per stimolare l’economia globale devastata dal coronavirus. Tuttavia, la partita si gioca tutta sulle modalità di erogazione di queste somme. I leader dell’Unione Europea hanno promesso di allineare le loro misure di emergenza al Green Deal e Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), ha affermato che esiste una “opportunità storica” di investire in tecnologie energetiche in grado di ridurre le emissioni di gas serra.
Ma, ad esempio, il pacchetto di aiuti statunitense sta distribuendo 60 miliardi di dollari alle compagnie aeree in difficoltà, offrendo anche prestiti a basso interesse all’industria fossile, senza richiedere alcuna garanzia per arginare l’emergenza climatica. Anche il governo canadese ha dichiarato che concederà prestiti alle sue compagnie petrolifere, che affermano di essere un “supporto vitale” per superare la crisi. Tuttavia, come sottolinea Bond, “rispetto alla crisi del 2008, oggi il costo delle energie rinnovabili è inferiore a quello dei combustibili fossili: è inutile tentare di sostenere l’insostenibile”. Piuttosto, come suggerisce Adrienne Buller, economista, una soluzione per non far fallire in massa l’industria fossile potrebbe essere la nazionalizzazione delle principali compagnie petrolifere di Regno Unito, Stati Uniti e Canada.
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Qualunque cosa accada, però, tutti gli esperti sembrano concordare sul fatto che l’industria fossile non sarà più la stessa dopo il doppio colpo della pandemia e della guerra dei prezzi. “Le aziende non riemergeranno dalla crisi così come vi sono entrare”, ha concluso Bond.