Rinnovabili • Indipendenza energetica Rinnovabili • Indipendenza energetica

Indipendenza energetica: la chimera di Trump

A pochi giorni dal discorso sullo stato dell'Unione, il coronavirus e la crisi petrolifera mettono in luce l'illusione dell'amministrazione Trump sull'indipendenza energetica degli Stati Uniti.

Indipendenza energetica
Credits: Evgenii Bashta da 123rf.com

L’amministrazione USA ha sbagliato i calcoli sull’indipendenza energetica degli Stati Uniti.

(Rinnovabili.it) – Durante il discorso alle Camere sullo stato dell’Unione, il presidente Donald Trump aveva sottolineato che la sua agenda di deregolamentazione avrebbe avuto il merito di rendere gli Stati Uniti indipendenti da un punto di vista energetico. Se già in quell’occasione, nonostante l’accelerata americana sulla produzione di petrolio, l’affermazione sull’indipendenza energetica USA appariva fuori luogo, i recenti eventi legati alla pandemia da coronavirus hanno ulteriormente dimostrato la sua evidente improbabilità.

A poco meno di un mese dallo stato dell’Unione, i prezzi del petrolio sono crollati di circa il 25% e si sono assestati intorno ai 35 dollari al barile – il più grande crollo in quasi 30 anni. La caduta è iniziata con una riduzione della domanda di petrolio in Cina a causa delle conseguenze economiche dovute alle strategie di contenimento del covid-19. La situazione, però, è precipitata drammaticamente questa settimana, nel momento in cui la Russia ha rifiutato di firmare una proposta dell’Arabia Saudita per tagliare la produzione di petrolio in risposta alla riduzione della domanda complessiva di energia. Con il calo della domanda e una forte sovrabbondanza dell’offerta, si è determinato il crollo dei prezzi.

Leggi anche BP: Stati Uniti responsabili del 98% della crescita di produzione di petrolio

In questo momento, gli Stati Uniti sono il più grande produttore di petrolio al mondo, ma ben lontani dall’indipendenza energetica, importando ancora circa 9 milioni di barili al giorno. Ciò significa che l’economia USA non può sfuggire agli effetti di una pandemia globale, né al conseguente crollo dei prezzi del petrolio. Per tale ragione, analisti ed esperti si aspettano possibili dissesti e tagli di posti di lavoro. Infatti, se le grandi compagnie petrolifere e del gas come Exxon e Chevron potranno resistere a prezzi bassi prolungati senza conseguenze gravi (così come gli operatori di medie dimensioni grazie al sostegno del private equity), le piccole imprese a conduzione familiare rischieranno di fare una grande fatica a rimanere a galla.

Il problema si pone soprattutto per le compagnie di petrolio e gas più piccole, che potrebbero essere costrette a rimanere inattive, abbandonando i pozzi e provocando, paradossalmente, ulteriori danni ambientali: i pozzi non collegati, infatti, tendono a perdere metano, specie nelle falde sotterranee.  “Se questa guerra dei prezzi continua per un anno o più, può davvero decretare la fine di molte aziende”, ha dichiarato Audun Martinsen, responsabile della ricerca di servizi petroliferi presso Rystad Energy, un gruppo di consulenza energetica con sede in Norvegia. Martinsen ha previsto che le compagnie petrolifere e del gas di tutto il mondo ridurranno il capitale e le spese operative di 100 miliardi di dollari nel 2020 e che l’industria dello scisto negli Stati Uniti ne subirebbe pesanti effetti economici: circa la metà dei 10.900 pozzi previsti per il 2020 potrebbe, infatti, non essere affatto scavata.

Leggi anche Cala la domanda di petrolio per il coronavirus, Opec Plus prepara le forbici

A fronte di evidenti benefici climatici che derivano dalla riduzione dell’estrazione di combustibili fossili, i gruppi ambientalisti temono che i produttori di petrolio e gas risponderanno al crollo di questa settimana semplicemente mettendo in pausa la produzione in molti pozzi o, alla peggio, abbandonandoli definitivamente e lasciando ai contribuenti americani i costi di pulizia. Una recente indagine del Los Angeles Times e del Center for Public Integrity ha rilevato, infatti, che nella sola California circa 35.000 pozzi sono già “inattivi”. Circa la metà di loro non ha prodotto petrolio e gas in oltre un decennio. Le aziende sono tenute a emettere obbligazioni per garantire che lo Stato abbia denaro per ripulire i pozzi e i giacimenti petroliferi abbandonati, ma dall’inchiesta è emerso che gli operatori avevano emesso solo 110 milioni di dollari in obbligazioni rispetto ai 6 miliardi necessari.

Allo stesso tempo, la riduzione dei prezzi del petrolio potrebbe influire anche sui bilanci statali. Ad esempio, nel Wyoming, un calo di 5 dollari al barile dei prezzi del petrolio si traduce in una riduzione di 70 milioni di dollari in meno di entrate ogni anno. I legislatori statali, inoltre, stanno già affrontando dei pensati deficit dovuti alla politica di Trump, ai quali ora si andrà a sommare il calo dei prezzi avvenuto questa settimana.