Il governo Cameron si è nuovamente trovato diviso su questioni di natura ambientale. L’introduzione del nuovo regime incentivante per gli impianti rinnovabili di grandi dimensioni ha riportato in superficie tensioni latenti nella coalizione tra conservatori e liberal-democratici, al governo dalla primavera del 2010. Il compromesso sul regime di sussidi per il quadriennio 2013-17 è stato raggiunto la scorsa settimana dopo mesi di estenuanti tira e molla tra il ministero dell’Energia ed il Cambiamento Climatico (DECC) ed il Tesoro. L’accordo ha fatto tirare un sospiro di sollievo all’industria di settore ma non ha sanato differenze più profonde sulle priorità di politica energetica tra le varie anime della coalizione ed è probabile che nuove fratture riemergano in autunno quando il Parlamento è chiamato a discutere la riforma del mercato elettrico.
Il sistema di incentivazione per gli impianti rinnovabili di grossa taglia si basa sui cosiddetti Renewables Obligation Certificates (ROCs), certificati che attestano la produzione di un determinato quantitativo di energia da fonti non-inquinanti accreditate. L’ammontare di ROCs ricevuto varia a seconda della tecnologia. Tramite il nuovo regime, per esempio, alcuni impianti per lo sfruttamento dell’energia del mare vedranno assegnarsi fino a 5 ROCs per ogni MWh generato, l’eolico offshore fino a 2 certificati ogni MWh, e così via per gli altri settori. E’ prevista una decrescita graduale del sussidio nel corso dei quattro anni. Le tariffe favoriscono alcune installazioni (eolico ed energia marina) a discapito di altre, in linea con le indicazioni contenute nella Renewable Energy Roadmap pubblicata dal governo la scorsa estate, in cui si è data precedenza a specifiche tecnologie: eolico onshore ed offshore, energia marina, biomasse, pompe di calore, veicoli alimentati da fonti non convenzionali.
I ROC rappresentano uno strumento di mercato ideato dal legislatore per stimolare investimenti nella realizzazione di impianti non inquinanti. I fornitori di elettricità acquistano i certificati dai produttori e ne consegnano annualmente un ammontare prestabilito al regolatore del mercato elettrico (Ofgem). Nel 2003, per esempio, il 3% dell’elettricità distribuita nel paese è stata prodotta da sistemi ROC accreditati. L’obiettivo è di raggiungere il 20% nel 2020 attraverso una serie di tappe intermedie. Il prezzo di vendita dei certificati è frutto di una normale transazione di mercato tra generatori di energia e distributori ed è determinato dalla differenza tra domanda (grossomodo il livello totale di ROCs che i fornitori devono consegnare periodicamente ad Ofgem) ed offerta (i certificati attualmente in circolazione). La media per la prima metà del 2012 si è attestata intorno alle 42 sterline. Secondo i dati Ofgem, nell’annualità 2010-11 sono stati utilizzati 24.9 milioni di ROC per un totale di energia elettrica prodotta pari a 23.2 TWh.
La riforma degli incentivi ha accumulato un enorme ritardo durante il processo di approvazione a causa della difficoltà tra i ministeri competenti di giungere ad un accordo sulla riduzione del sussidio per gli impianti eolici onshore. Il taglio del 10% introdotto (da 1 ROC ogni MWh a 0,9) è stato interpretato come una parziale vittoria per il Dipartimento dell’Energia, in mano al liberal-democratico Ed Davey, considerato più vicino alle posizioni degli ambientalisti e i tra più ardenti promotori dell’agenda green della coalizione. Il Tesoro, con alla testa il conservatore George Osborne, aveva premuto per una riduzione più corposa, fino al 25% secondo alcune indiscrezioni, in piena sintonia con quel settore del partito Tory che vorrebbe porre un freno alla realizzazione delle turbine eoliche su terra, ritenute troppo costose e visivamente poco attraenti. Lo scorso gennaio un centinaio di parlamentari, di cui solo tre non appartenenti all’ala conservatrice, avevano indirizzato un appello al Primo Ministro Cameron per un taglio drastico del sussidio a favore dei sistemi onshore ed una riforma in senso più restrittivo delle pratiche amministrative di autorizzazione. Una richiesta che, come ha evidenziato la vicenda dei sussidi, sembra aver trovato una sponda ricettiva nei corridoi del Tesoro.
I due ministri hanno comunque evitato di alimentare pubblicamente il dissidio emerso nelle ultime settimane ed il segretario all’Energia Davey ha tenuto a precisare in conferenza stampa che se tensione c’è stata si è trattato solamente di un malinteso, ora risolto. La diatriba rappresenta tuttavia solo uno dei numerosi focolai di tensione tra le due anime della coalizione. Se c’è una cosa a cui l’industria green guarda con estrema preoccupazione è quella di assistere ad una progressiva politicizzazione delle decisioni in ambito energetico ed ambientale. Non dovrebbero essere le priorità partitiche a guidare la strategia dell’esecutivo, ma un’analisi accurata della situazione basata il più possibile su fatti e numeri (evidence-based). Il clima di incertezza regolamentare non fa altro che spaventare gli investitori e rallentare i piani di sviluppo in un settore così promettente come quello della green economy. E’ ancora vivo tra gli operatori di categoria il ricordo poco felice dei tagli alla Feed-in Tariff per il solare introdotti surrettiziamente dal governo lo scorso autunno.
Come parte del compromesso raggiunto sull’ammontare della tariffa per l’eolico onshore, il DECC ha dovuto accogliere le richieste del Tesoro di riconfermare il ruolo strategico del gas nell’approvvigionamento energetico del paese nei prossimi decenni. «Il gas continuerà a giocare un ruolo chiave nel soddisfare la domanda interna e non si limiterà a fornire semplice supporto alle fonti rinnovabili» ha dichiarato il ministero in un comunicato. Si tratta di una precisazione importante, considerando che il Parlamento si appresta a discutere in autunno la riforma del mercato elettrico, il riassetto più radicale del settore dai tempi delle privatizzazioni degli anni ottanta. Le decisioni prese nei prossimi mesi andranno ad incidere sul modo in cui il paese intende soddisfare le proprie necessità energetiche nei decenni a venire. Che il mix complessivo debba comprendere rinnovabili, nucleare e sistemi di cattura e stoccaggio sembra ormai ampiamente condiviso. Ma quale ruolo per il gas?
La Committee on Climate Change, organo indipendente incaricato di valutare periodicamente l’implementazione degli obblighi ambientali, ha sottolineato che senza la decarbonizzazione del settore elettrico entro il 2030 il paese potrebbe non raggiungere gli obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni di anidride carbonica (del 50% entro il 2027 sui livelli del 1990 e dell’80% nel 2050). Decarbonizzare entro il 2030 vuol dire che gli impianti alimentati a gas potranno operare solo se muniti di sistemi di cattura e stoccaggio. Il Tesoro, da parte sua, è piuttosto cauto su questo punto, nel timore che il Regno Unito possa assumere prematuramente impegni giudicati troppo onerosi, soprattutto quando gli altri paesi non sembrano intenzionati ad intraprendere lo stesso percorso. Come emerso da una lettera privata di cui la stampa è entrata in possesso, il ministro Osborne sarebbe poco incline a determinare sin da ora obiettivi nazionali in materia energetica per il 2030, tanto in relazione alla decarbonizzazione del sistema elettrico che alla percentuale generata da fonti rinnovabili – la soglia attualmente in vigore è del 15% entro il 2020, secondo il burden sharing siglato dai paesi dell’Unione Europea.
La riforma del mercato elettrico sarà discussa in autunno alla ripresa dei lavori parlamentari ed è altamente probabile che le fratture emerse nelle ultime settimane riaffiorino con altrettanto vigore, contribuendo ad alimentare quel clima di incertezza che bene non fa alle prospettive di crescita dell’economia green. Sempre in autunno, il governo prevede di pubblicare la roadmap sullo sviluppo del settore gas, risorsa alla quale il futuro energetico del paese è intimamente connesso.