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L’Arabia Saudita diventerà campione di idrogeno blu per centrare la neutralità climatica

Idrogeno blu e CCS le chiavi della transizione energetica del paese arabo che oggi produce il 12,5% del petrolio mondiale e punta tutto sul gas grazie all’enorme giacimento onshore di Jafurah

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Riad promette la neutralità climatica entro il 2060

(Rinnovabili.it) – Raggiungere la neutralità climatica nel 2060 ma senza “demonizzare” l’oro nero. Tagliare le emissioni a ritmo doppio mantenendo, però, i livelli produttivi di petrolio “per stabilizzare il mercato”. E acceleratore a tavoletta sull’idrogeno (quello blu, ricavato dagli idrocarburi con recupero di CO2) e sul CCS (cattura e stoccaggio della CO2). È il perimetro della transizione energetica annunciato il 24 ottobre dall’Arabia Saudita, a una settimana dall’inizio della COP26 di Glasgow e a 5 giorni dal G20 di Roma dove energia e clima sono in cima all’agenda.

Promesse contraddittorie, ma non per le regole Onu. Infatti, le Nazioni Unite non conteggiano le emissioni Scope 3, cioè quelle prodotte a valle lungo la supply chain. Così la CO2 che deriva dalla combustione delle fossili non viene addebitata a un paese produttore come l’Arabia Saudita. È qui che mette radici la nuova politica energetica del paese arabo, che rimarca come l’azienda statale degli idrocarburi – l’Aramco – continuerà a espandere la produzione nei prossimi decenni.

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Il piano saudita – Saudi Green Initiative – prevede di raddoppiare il taglio delle emissioni di gas serra entro il 2030 rispetto all’obiettivo precedente. Riad abbatterà quindi 278 mln di t di CO2 l’anno per i prossimi 8 anni. In questo periodo lo Stato promette 190 mld di dollari di investimenti per raggiungere la neutralità climatica. Come?

Resta l’obiettivo di rinnovabili al 50% del mix elettrico entro fine decennio, già promesso qualche anno fa. Mancano però dettagli importanti su tempi e investimenti. In teoria la parte del leone dovrebbe farla il fotovoltaico, che è molto competitivo con un costo per kWh di poco superiore a 1 centesimo di dollaro. Il balzo da fare però è gigantesco. Secondo alcune stime, Riad dovrebbe passare dagli 0,5GW di capacità installata di fotovoltaico nel 2020 a 28,6GW nel 2030. Per gli analisti di Global Data, l’energia pulita non andrà oltre l’11,8% del mix elettrico a fine decennio, partendo dallo 0,2% di oggi. Servirebbe quindi uno scatto di reni enorme per lasciarsi alle spalle gas e petrolio, che oggi pesano rispettivamente per il 63,1% e il 36,7% del mix elettrico.

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Per il momento la direzione che vogliono seguire i sauditi è un’altra e si chiama idrogeno. L’obiettivo è produrre 4 milioni di tonnellate del vettore energetico entro fine decennio, ha dichiarato ieri il ministro dell’Energia Abdulaziz bin Salman al-Saud. Il perno della svolta saudita verso l’H2 sarà Jafurah, il più grande giacimento di gas del paese (circa 7 volte più grande del maxi-giacimento egiziano Zohr scoperto da Eni) il cui sfruttamento dovrebbe iniziare nel 2024. Qui il regno saudita programma di sviluppare la sua industria dell’idrogeno blu.

Riad ha fatto un passo in più: finora Jafura doveva essere l’asso nella manica per diventare uno dei più grandi esportatori di gas naturale del mondo, fonte fossile che con ogni probabilità resterà al centro della transizione energetica globale per decenni. Gas che serve anche per sostituire il petrolio nel mix elettrico e renderlo meno impattante sul clima. Adesso Jafurah sarà dedicato in parte all’idrogeno blu, con l’obiettivo di trasformare il regno nel più grande esportatore al mondo di questo tipo di H2.

(lm)