Rinnovabili • UFI Hydrogen: l’idrogeno verde italiano diventa realtà industriale, parola di Marco Lazzaroni  Rinnovabili • UFI Hydrogen: l’idrogeno verde italiano diventa realtà industriale, parola di Marco Lazzaroni 

UFI Hydrogen: l’idrogeno verde italiano diventa realtà industriale, parola di Marco Lazzaroni 

Dopo sette anni di sviluppo e ricerca nell’ambito del Gruppo UFI, è nata UFI Hydrogen, l’unica azienda italiana – e tra le 7 al mondo - che produrrà, già dai prossimi mesi, la tecnologia delle membrane catalizzate per la generazione di idrogeno verde. Marco Lazzaroni, ceo della società, ci illustra la genesi e la visione di questa innovativa realtà industriale, le potenzialità del mercato e la maturità tecnologica dei loro prodotti.  

UFI Hydrogen: l’idrogeno verde italiano diventa realtà industriale, parola di Marco Lazzaroni 

Intervista a Marco Lazzaroni, ceo di UFI Hydrogen

Nel corso della Fiera internazionale Automekhanica di Francoforte, uno degli appuntamenti internazionali più importanti della filiera industriale dell’automotive, abbiamo incontrato Marco Lazzaroni, ceo di UFI Hydrogen.  

Lo abbiamo intervistato con grande interesse in quanto Lazzaroni vanta una lunga esperienza nel segmento idrogeno – provenendo da Snam – e nel corso degli anni ha maturato una profonda conoscenza sugli ultimi traguardi tecnologici per la sua produzione del gas da fonte rinnovabile. L’occasione è particolarmente interessante perché proprio dalla fiera tedesca parte l’annuncio dell’inaugurazione a Serravalle, in Trentino, del centro di ricerca e primo stabilimento italiano di produzione delle membrane rivestite di catalizzatori, sotto il nuovo brand UFI Hydrogen.

Marco Lazzaroni, quali sono gli elementi tecnologici più innovativi dell’azienda che lei dirige e quali sono, a suo giudizio, i fattori strategici che possono far affermare la vostra tecnologia in un mercato oggettivamente ancora in sviluppo.

Per risponderle correttamente, ritengo utile sottolineare come prima cosa il posizionamento di UFI Hydrogen.

Innanzitutto, UFI Hydrogen non è una startup, ma una new company che si inserisce all’interno di un gruppo che è attivo da cinquant’anni con una profonda vocazione industriale di origine tecnologia e con l’obiettivo di posizionarsi sempre come avanguardia dell’innovazione. Nasciamo quindi da un “codice genetico” che ha sempre e solo guardato al futuro.

UFI Hydrogen nasce ufficialmente come legal entity l’anno scorso, a maggio 2023, ma in realtà siamo nati ufficiosamente circa 7 anni fa con una intensa attività di ricerca che è stata “incubata” da UFI Gruppo Innovation Center basato in Trentino. In questo periodo si è iniziato a ricercare una fattiva soluzione per la mobilità sostenibile, parallelamente alle “consuete” batterie elettriche, partendo dal quesito: quale può essere la soluzione per il trasporto pesante in cui la batteria al litio si presenta inadeguata per il suo peso specifico e per la necessità di garantire una elevata potenza ed autonomia? 

Si cercarono quindi soluzioni per elettrificare un veicolo pesante per il trasporto merci con qualcosa che fosse più leggero e la ricerca individuò la soluzione dell’idrogeno che, essendo un gas leggero, dava la possibilità di alimentare comunque un mezzo elettrificato, ma con una soluzione tecnologica innovativa. Ed è su questa considerazione che si è consolidato questo periodo di 7 anni di ricerca intorno all’idrogeno. E più si approfondiva la sperimentazione, più si scopriva che l’utilizzo di questo vettore energetico poteva aprire delle enormi opportunità di applicazioni non solo nel settore dell’automotive, ma poteva diventare una componente strategica essenziale in un piano di decarbonizzazione più generale che oggi è sull’agenda di tutti i governi non solo in Italia, ma in Europa e in molte aree del Pianeta.

Da lì in poi ci siamo chiesti come dovesse posizionarsi il gruppo e con quale angolo di attacco intendesse entrare in questo settore. Sono state fatte delle scelte importanti, è stata creata una legal entity con l’obiettivo di realizzare una società non più solo di ricerca – che ovviamente dovrà continuare a fare – ma una realtà produttiva che porti sul mercato una tecnologia matura e profondamente innovativa. Quindi la priorità che ci siamo imposti è stata quella di garantire il trasferimento tecnologico per una scalabilità industriale per la produzione di un’azienda – cosa per noi essenziale – completamente italiana. 

Dopo questo percorso, nasce UFI Hydrogen e il suo posizionamento è quello di dedicarsi ad un obiettivo molto ambizioso: produrre membrane catalizzate, denominate tecnicamente MEA (Membrane Electrode Assemblies) cioè membrane che permettono una reazione elettrochimica. Per garantire questo debbono essere catalizzate usando diversi catalizzatori a seconda dell’applicazione.

Attualmente queste membrane possono essere di quattro tipologie: la prima è una membrana catalizzata che consente di scindere la molecola dell’acqua – la conosciutissima water electrolysis – in ossigeno e idrogeno e quindi permette la produzione di idrogeno verde; la seconda tipologia di membrana, sempre catalizzata, permettere la trasformazione dell’idrogeno verde in elettricità e quindi permette tutta una serie di applicazioni, tra cui le fuel cell; la terza è una membrana catalizzata che consente l’elettrolisi della CO2 e quindi la produzione di e-Fuel o synthetic fuel. Infine, la quarta è una membrana catalizzata che permette la compressione elettrochimica di un gas – il metano ad esempio – oggi ottenuta unicamente con la compressione meccanica. Con la tecnologia della compressione elettrochimica sarà possibile pressurizzare anche l’idrogeno, aprendo un mercato completamente nuovo e con immense potenzialità. 

Quindi noi siamo – ad oggi – l’unica società italiana, e tra le pochissime al mondo, specializzate sulle tecnologie delle membrane catalizzate.                        

UFI Hydrogen: l’idrogeno verde italiano diventa realtà industriale, parola di Marco Lazzaroni 

Mi faccia capire meglio il valore tecnologico della membrana catalitica all’interno della filiera di produzione dell’idrogeno. Nel processo di trasformazione dell’acqua in idrogeno verde, quale ruolo e quale valore ricopre questa tecnologia? 

Cerco di semplificare. Quando parliamo di idrogeno stiamo parlando di un elemento che esiste in natura e che è il più abbondante nell’universo. Nel nostro pianeta esiste combinato all’ossigeno quindi lo si trova nell’acqua e per produrlo bisogna ottenere una scissione attraverso l’elettrolisi. Ma per ottenere idrogeno occorre una certa quantità di energia che può derivare da diversi fonti: può nascere da una combustione fossile, e questo è denominato grigio, quello blu derivato sempre da fonte fossile ma con la cattura della CO2 e quello verde, quello che a noi interessa, dove l’impulso elettrico nasce da una fonte rinnovabile. Parliamo di solare, eolico e idroelettrico. Ma per definizione – come è noto – l’energia rinnovabile ha una caratteristica: non è costante per l’intermittenza delle fonti.

Quindi, se vogliamo scegliere l’energia da fonte rinnovabile per produrre idrogeno, abbiamo bisogno di una tecnologia che possa risolvere l’incostanza del flusso elettrico, in altre parole di una tecnologia flessibile che possa consentire “on/off”.  E questo lo consente ad oggi solo la tecnologia a membrana catalitica in quanto l’altra, l’elettrolisi alcalina, ha bisogno inevitabilmente di un impulso elettrico costante e quindi non proveniente da fonte rinnovabile.  Attualmente l’unica tecnologia compatibile con le rinnovabili per la produzione di idrogeno verde è quella che utilizza la membrana catalitica detta PEM (Proton Exchange Membrane) cioè una membrana a scambio protonico.

Possiamo allora dire che l’aspetto più innovativo della vostra tecnologia è la sua compatibilità con le rinnovabili…

Sì, grazie alla sua capacità di seguire i flussi intermittenti delle rinnovabili, la tecnologia della membrana catalitica ad oggi è l’unica che consente l’avvio industriale del mercato per idrogeno verde.  E siamo solo 7 società nel mondo – e in Italia solo noi – a sviluppare questa tecnologia. 

Da sempre esiste un problema storico nel rapporto tra idrogeno e fonti energetiche rinnovabili: il costo. E produrre su grande scala idrogeno verde è apparso spesso un obiettivo irraggiungibile. Voi che avete incentrato integralmente il vostro business su questa soluzione, come intendete risolvere il problema?

Noi dobbiamo risolvere un’equazione abbastanza semplice: produrre e far arrivare una quantità di idrogeno verde dalla produzione al cliente finale. Quindi ho due modi: o lo produco in loco e non lo immagazzino – soluzione assolutamente possibile – o debbo trovare una soluzione economica che permetta a un costo basso la produzione, il trasporto e lo storage. 

Come accennato per produrre l’idrogeno verde occorre una fonte rinnovabile, e le confermo, come da lei anticipato, che proprio le rinnovabili costituiscono attualmente più del 50% sul costo finale dell’idrogeno verde. E dove ho la possibilità di migliorare economicamente questo modello? Dove ho abbondanza di rinnovabili.  Da qui l’interesse per il Piano Mattei per produrre in zone nordafricane, con importanti disponibilità di fonte solare, o nella penisola arabica. Ecosistemi perfetti per produrre idrogeno verde a basso costo. Dopodiché c’è da risolvere un altro problema ancora molto importante: il trasporto.  Dopo un’attenta valutazione si è capito che il costo di trasporto tramite pipeline è il costo più basso e più efficiente da cui appunto il valore strategico del Piano Mattei per produrre idrogeno da rinnovabili in Africa per poi trasportarlo nel continente europeo tramite pipeline già esistente.

Questa, secondo le nostre analisi, è la formula perfetta.

Allora perché non si attua da subito?

Rimane una questione da risolvere: oggi la tecnologia dell’elettrolisi tramite membrane catalitiche è ancora molto costosa in quanto il mercato sta chiedendo degli elettrolizzatori che abbiano un ciclo di vita di circa 80.000 ore, quindi più o meno 8 /10 anni. Per garantire ciò produciamo catalizzatori per membrane che consentono questo risultato utilizzando l’iridio che è un elemento particolarmente scarso. Pensi che è un metallo rarissimo ed presente al 90% in Sud Africa. È evidente che questo aspetto costituisce oggi il collo di bottiglia dell’intero processo produttivo.  

Noi pensiamo di aver trovato la soluzione con 2 strategie alternative. La prima migliorando la tecnologia per utilizzare meno iridio e mantenendo la stessa efficienza della membrana. Su questo abbiamo fatto passi da gigante in quanto siamo partiti da 18 mesi – quando si utilizzavano tre milligrammi di iridio per centimetro quadrato – ed oggi siamo in grado di produrre, a parità di prestazione, una membrana che utilizza un milligrammo per centimetro quadrato.

E stiamo già guardando alla futura generazione tecnologica che ci consentirà di portare sul mercato, tra circa 24 mesi, un’ulteriore riduzione a un decimo di iridio per centimetro quadrato. Questo può essere un buon indicatore, ma sicuramente non è sufficiente perché se guardiamo agli obiettivi mondiali di circa 300 Gigawatt di elettrolisi installata al 2030 sappiamo che più o meno metà dovrà essere prodotta con tecnologia a membrana e metà con tecnologia alcalina. Ma questo obiettivo non potrà essere mai raggiunto con la tecnologia attuale delle membrane, in quanto occorrerebbe una quantità di iridio non disponibile sul pianeta.

E allora? Quale potrebbe essere la soluzione? 

Le innovazioni tecnologiche che stiamo apportando – come dicevo – ci porteranno a breve ad utilizzare circa un decimo del prezioso metallo per ottenere le stesse prestazioni di elettrolisi.

Questo ci porterà a convincere il mercato a non richiedere un elettrolizzatore che duri 8 anni, ma adeguarci ai modelli di business che sono già un’espressione di altre economie in settori più maturi, come quello dell’auto o dei cellulari, dove il modello è posizionato sul servizio e non sull’hardware. Dovremmo quindi cercare di sviluppare una strategia che abbia come obiettivo l’Hydrogen Service e per fare questo bisognerà cambiare completamente il modello di business e concepire un ciclo di vita di un elettrolizzatore  non più di 8/10 anni, ma di 10.000 15.000 ore, ciò circa un anno e mezzo.  

Quindi vendere servizi e non più hardware?

Esatto. La stack diventerebbe provocatoriamente una sorta di commodity e questo consentirebbe, a chi si occupa di tecnologia come noi, di cambiare completamente la scelta dei materiali e quindi di abbassare in modo sostanziale i costi di produzione della tecnologia. Ciò andrebbe a beneficio innanzitutto della sostenibilità del modello di business, favorirebbe il riciclo dei materiali preziosi e abbatterebbe il costo della transizione energetica.  

Parliamo appunto di riciclo: esiste già una tecnologia per il recupero di questi materiali presenti nel catalizzatore, prevedete di farla internamente o c’è un Consorzio preposto a far questo?

L’opportunità del riciclo per noi è vitale e strategica innanzitutto per gli obiettivi di sostenibilità, ma anche per rendere sempre più competitivo il modello produttivo dell’idrogeno verde.  Attualmente i pochi fornitori di iridio sono già in grado di recuperare e riciclare questo elemento.  

Per questo stiamo lavorando a strettissimo contatto con i nostri fornitori a livello internazionale per creare una filiera senza la quale non riusciremo a chiudere il cerchio, un cerchio composto da chi fornisce le materie prime, noi con la tecnologia delle membrane e chi realizza gli elettrolizzatori.

E oltre ad impegnarci per la realizzazione della filiera, stiamo collaborando con chi produce gli elettrolizzatori per arrivare a realizzare questa nuova generazione che avrà l’obiettivo di offrire, come si diceva, un servizio e non più una macchina. 

Tutto questo ha bisogno di investimenti e tanta ricerca. Dove avete programmato di far questo?

Attualmente siamo posizionati come Innovation Center del Gruppo ad Ala, la sede storica del gruppo UFI, dove è nata e si svolge la ricerca da 17 anni. Negli ultimi mesi stiamo attivamente selezionando ricercatori e talenti in giro per il mondo per avviare la società UFI Hydrogen con l’ambizione di diventare un player industriale.  Abbiamo pertanto localizzato a 5 km, in località Serravalle, la nuova sede di produzione industriale dove completeremo il technology transfer e produrremo per affrontare il mercato.  Si tratta di una sede di 14.000 metri quadri, di cui 6.000 sono coperti, che ospiterà tutti i laboratori presenti nella vecchia sede, oltre ad attrezzature nuove, che ci permetteranno da subito di produrre le membrane catalizzate. Il trasloco avverrà nel prossimo novembre. 

Quando prevedete di iniziare la commercializzazione?

Già nel primo quarter del 2025. Questo progetto si inserisce all’interno di un progetto che è stato finanziato dalla provincia autonoma di Trento, che ha cofinanziato con quattro milioni di euro la ricerca sulle membrane destinate all’elettrolisi. Inoltre, UFI Hydrogen è stata l’unica azienda italiana ad aver partecipato al programma europeo IPCEI, con la quarta Wave dedicata all’idrogeno per la mobilità, che finanzierà UFI Hydrogen con circa 22 milioni di euro nei prossimi quattro anni. Questo darà un’importante accelerazione allo sviluppo anche del secondo verticale relativo alle membrane catalizzate per la realizzazione delle fuel cell, cioè la trasformazione dell’idrogeno in elettricità. Il progetto lo svilupperemo con importanti partner europei come Airbus, BMW e molti altri. 

Perché avete scelto proprio il Trentino per produrre idrogeno verde?

In Trentino abbiamo un perfetto ecosistema per l’idrogeno verde grazie ad un’importante presenza di rinnovabile idroelettrica. Il nostro principale partner è Dolomiti Energie che gestisce 30 centrali idroelettriche, una sorta di paradiso per chi vuole occuparsi di idrogeno verde. Abbiamo poi la tradizione nella ricerca con la presenza della Fondazione Bruno Kessler e del presidente Ferruccio Resta, e abbiamo il direttore del verticale che si occupa di idrogeno, Luigi Crema, che è stato appena riconfermato anche come presidente dell‘Hydrogen Europe Research e che rappresenta la persona più alta in grado nella ricerca dell’idrogeno a livello europeo.  

In quali rapporti è UFI Hydrogen con questi Centri di Ricerca?

Ottimi, di piena collaborazione. Abbiamo la fortuna che sono a Trento e stiamo lavorando a stretto contatto con loro. Luigi Crema, poi, sta aprendo un centro di Sustainable Energy dedicata all’idrogeno a circa 10 minuti dal nostro Centro e stiamo creando una Cross Border Hydrogen Valley che includa il Trentino,  in rappresentanza dell’Italia, la Baviera che rappresenta la Germania e l’Austria. Questi paesi collaboreranno per far sì che ci sia un ecosistema internazionale per lo sviluppo dell’idrogeno verde. Ad oggi credo che il Trentino sia uno degli ecosistemi più favorevoli in Italia dove lavorare sul green. E questo in quanto esiste una visione, ci sono i capitali, c’è una incrollabile volontà, ci sono industrie energivore da decarbonizzare in cui l’idrogeno appare una soluzione perfetta, e abbiamo, basilare, la ricerca tecnologica ad altissimo livello – rappresentata da noi e da altri player – che possono fare la differenza nell’adozione dell’idrogeno verde.

Parliamo di sviluppo del mercato dell’idrogeno in Italia. Quale scenario avete immaginato nei prossimi anni sulla base della vostra visione e strategia? 

Abbiamo diversi orizzonti temporali in funzione dei quattro verticali di cui si occupa UFI Hydrogen: il primo è l’elettrolisi per la produzione dell’idrogeno verde che verrà utilizzato per decarbonizzare le industrie, ma anche per essere trasformato in elettricità. E questo asset è attualmente quello che ha maggiori potenzialità di mercato, forse quello più complesso come tecnologia da sviluppare, ma la domanda nei prossimi anni crescerà in maniera esponenziale. Ed essendo noi gli unici in Italia, stiamo lavorando per posizionarci anche con le Istituzioni e il Governo italiano per far conoscere le potenzialità del nostro prodotto. E su questo segmento intendiamo immettere le nostre membrane sul mercato già dai primi mesi del 2025. 

Lo sviluppo del secondo verticale, quello delle fuel cell, sarà fortemente supportato dal finanziamento europeo di cui ho fatto cenno.  In verità questa tecnologia è già pronta in quanto già sappiamo catalizzare la membrana con l’iridio e con il platino nel primo verticale e quella del fuel cell è una membrana catalizzata con platino e platino attraverso un processo molto simile. Il motivo per il quale stiamo aspettando ad introdurla sul mercato è che vorremmo sviluppare una seconda innovazione che si chiama membrana PFAS FREE, cioè una membrana senza fluoropolimero quindi una membrana verde estremamente pulita. Ciò sarebbe molto importante, e saremmo i primi al mondo ad arrivare sul mercato, perché come è noto l’Unione Europea sta valutando di bandire l’utilizzo di questa sostanza nei prossimi anni e noi vogliamo farci trovare pronti a questa eventualità. 

Quale sarà il target di questo secondo verticale?

La clientela sarà una clientela captive del mondo dell’automotive che UFI porta in dote dopo cinquant’anni di attività storica del Gruppo con circa il 95% dei player dell’automotive. Pensiamo di immettere sul mercato questo secondo verticale nel 2026 / 2027. 

E per il terzo verticale?

Per quanto riguarda il terzo verticale, cioè le membrane catalizzate capaci di fare l’elettrolisi della CO2 e di generare il e-Fuel (or synthetic fuel), credo che questo segmento abbia un potenziale grande come il primo verticale in quanto stiamo constatando, proprio in questi giorni, la difficoltà del settore automotive nel superare l’impatto del motore a combustione transitando direttamente verso modelli di elettrificazione.

Se noi – come società di tecnologia – riuscissimo a dare un’alternativa per la sopravvivenza del motore a combustione interna tramite green fuel, cioè idrogeno ed e-Fuel, questo cambierebbe completamente la scacchiera in gioco e consentirebbe di salvaguardare gruppi industriali oggi presenti in Europa salvando posti di lavoro e accelerando la transizione a costo praticamente zero. Per questo verticale l’orizzonte temporale era storicamente settato per il 2035, ma oggi stiamo velocizzando la ricerca che ci permetterà, probabilmente, un ingresso nel mercato al 2027/2028, guadagnando ben 7 anni. 

In conclusione, Lazzaroni: cosa dovremmo cambiare, in Italia, per sviluppare il mercato dell’idrogeno verde? 

Penso che ci sia il bisogno della collaborazione di tutti: pubblico, privati e stakeholder in quanto – come per tutte le grandi trasformazioni sociali – non bisogna solo investire in innovazione tecnologica, come stiamo già facendo, ma abbiamo bisogno di una corretta informazione per gli investitori, di una approfondita educazione per i consumatori e, specialmente, di un’adeguata normativa con regolamenti chiari e trasparenti.

La via dell’idrogeno, nelle sue diverse applicazioni, può davvero costituire uno strumento basilare per la transizione energetica, dando risposte immediate all’attuale problema della trasformazione industriale del settore automotive, ammorbidendo il repentino passaggio alla e-mobility, proponendo soluzioni concrete che l’elettrificazione pura – alimentata da batterie al litio – non può ancora offrire, come nel settore del trasporto pesante, della navigazione e dell’aviazione. 

Questa è la ricetta, secondo noi, per realizzare concretamente la transizione energetica italiana.  

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About Author / Mauro Spagnolo

Giornalista e comunicatore scientifico, si occupa da oltre trenta anni di sostenibilità energetica ed ambientale. È cofondatore della testata e suo direttore responsabile. È stato docente di “Impianti e compatibilità ambientale” presso la facoltà di architettura Università La Sapienza, responsabile scientifico del Corso di Alta formazione in “Efficienza energetica negli edifici” presso il Dipartimento di meccanica ed aeronautica della facoltà di Ingegneria Università La Sapienza oltre che docente in decine di Master universitari. Autore di vari libri, editoriali ed articoli tecnici, è tra gli esperti energetici della RAI per la quale fornisce contenuti e partecipazioni in diverse produzioni televisive e radiofoniche.