Rinnovabili

Idrogeno come vettore di decarbonizzazione. A che punto siamo?

Idrogeno come vettore di decarbonizzazione. A che punto siamo?

Articolo in collaborazione con KEY- The Energy Transition Expo

È un settore ancora agli albori ma in grado di catalizzare un’attenzione crescente. Parliamo dell‘idrogeno a basse emissioni, uno dei vettori chiave della decarbonizzazione globale. E oggi al centro di una nuova ondata di investimenti globali.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) a livello mondiale il numero di progetti che ha raggiunto la decisione finale d’investimento è raddoppiato negli ultimi 12 mesi. E se tutti fossero finalizzati la produzione totale di idrogeno potrebbe raggiungere quasi 50 milioni di tonnellate l’anno entro la fine di questo decennio. A titolo di confronto nel 2023 sono state generate solo 700 mila tonnellate di idrogeno low carbon, etichetta che comprende sia la versione “verde (ottenuta grazie alle rinnovabili) che quella “blu” (da carburanti fossili con cattura delle emissioni).

Per la stessa deadline ossia il 2030, potrebbero essere in funzione o in costruzione quasi 520 GW di elettrolizzatori. Un numero esageratamente elevato se confrontato ai 5,2 GW di elettrolizzatori attivi attualmente nel mondo, ma da prendere con le pinze. Il dato, infatti, è semplicemente la somma dei progetti nelle prime fasi di sviluppo e di tutti quelli annunciati, molti dei quali è probabile non vedranno mai la luce.

I numeri però sono sufficienti per tracciare un trend.

“La crescita di nuovi progetti suggerisce un forte interesse degli investitori nello sviluppo di una produzione di idrogeno a basse emissioni, che potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nella riduzione delle emissioni da settori industriali come acciaio, raffinazione e prodotti chimici”, ha ha spiegato il direttore esecutivo dell’Agenzia, Fatih Birol. “Ma affinché questi progetti abbiano successo, i produttori di idrogeno a basse emissioni hanno bisogno di acquirenti. I decisori politici e gli sviluppatori devono esaminare attentamente gli strumenti per supportare la creazione della domanda, riducendo al contempo i costi e assicurando che siano in atto normative chiare che supportino ulteriori investimenti nel settore”.

La domanda rimane la vera incognita. Il rapporto IEA evidenzia un divario tra gli obiettivi governativi per la produzione e consumo di H2. I primi cumulativamente ammontano a ben 43 milioni di tonnellate all’anno entro il 2030, mentre i secondi non supererebbero le 11 milioni di tonnellate entro lo stesso anno.

Recuperare il gap tra domanda e offerta rappresenta la vera sfida dei prossimi anni. Difficile poter avere delle previsioni certe dal momento che l’idrogeno low carbon è ancora un settore emergente.

In questo contesto, come raccomanda anche l’Agenzia internazionale, i governi possono però sfruttare l’opportunità offerta dagli attuali consumatori di idrogeno e da settori ad alto valore come l’acciaio, spesso co-localizzati in hub industriali. Mettere in comune la domanda in questi hub può creare un mercato di scala e ridurre i rischi per i produttori.

Un fattore essenziale è e sarà anche il prezzo di vendita. Il rapporto ha rivisto al rialzo i costi degli elettrolizzatori rispetto al precedente aggiornamento a causa della stretta sulle catene di fornitura, ma per avere un quadro completo sono diversi gli elementi da tenere in conto, compresa l’evoluzione del mix energetico. Nello scenario più ambizioso della IEA, produrre il vettore tramite elettrolisi alimentata a rinnovabili avrebbe un costo di circa a 2-9 dollari/kg H2 entro il 2030. La metà del valore odierno.

Ma in attesa che il mercato e l’evoluzione tecnologica abbassi il prezzo dell’idrogeno verde, diversi paesi hanno già messo in campo progetti e strumenti di supporto.

Nell’Unione Europea a fine 2023 è stata lanciata la prima Asta del Fondo Innovazione. Di cosa si tratta? Di uno strumento interno alla neo nata European Hydrogen Bank, finalizzato a far crescere la bancabilità dei progetti dedicati al vettore. La gara ha permesso alla Commissione Europea di selezionare sei produttori di H2 da combustibili rinnovabili di origine non biologica (RFNBO) assegnando loro un premio fisso per l’idrogeno generato su un periodo di 10 anni. L’esecutivo UE ripeterà l’operazione nella convinzione che grazie agli incentivi diretti sia possibile colmare il divario dei costi e aumentare la stabilità dei ricavi.

La Commissione europea offre anche un meccanismo di supporto per le offerte non selezionate, ribattezzato “aste come servizio”. Lo strumento, già attivato dalla Germania, permette agli Stati membri di finanziare i progetti che hanno partecipato all’asta, ma sono stati esclusi dai vincitori a causa di limitazioni di bilancio. L’obiettivo è permettere ai paesi UE di assegnare finanziamenti nazionali a progetti sul loro territorio, senza la necessità di organizzare una gara statale separata, riducendo gli oneri amministrativi e i costi per tutte le parti.

A sostenere lo sviluppo della filiera dell’idrogeno in Europa sono anche i progetti di interesse comune europeo (IPCEI). Si tratta di strumenti creati al fine di contribuire al raggiungimento di obiettivi di sviluppo comunitari e messi al servizio di diversi settori industriali, limitando le potenziali distorsioni della concorrenza.

Nello specifico l’IPCEI Hydrogen è costituito da quattro cluster combinati di progetti –  Hy2Tech, Hy2Use, Hy2Infra e Hy2Move – provenienti da oltre la metà degli stati membri dell’Unione Europea e dalla Norvegia. Nell’insieme puntano a mobilitare 43 miliardi di euro (pubblici e privati) a supporto di oltre 120 iniziative nell’intera catena del valore dell’idrogeno: produzione, importazione, trasporto e utilizzo finale.

Ma in questo contesto come si sta muovendo l’Italia? Oltre alla partecipazione all’IPCEI Hydrogen e ad una serie di iniziative sostenute con le risorse del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (vedi la creazione delle Hydrogen Valley), il Belpaese ha da poco presentato la sua Strategia nazionale dell’idrogeno. Il documento propone obiettivi importanti ma lontani nel tempo (2050) attraverso una serie di scenari possibili su domanda, offerta e investimenti. E lascia ampio spazio di manovra per raddrizzare il tiro strada facendo.

Lato consumo identifica uno scenario base caratterizzato da una domanda di idrogeno di 6,4 Mtep, di cui 3,9 Mtep consumati dai trasporti e 1,6 Mtep dall’industria. Quello più ambizioso prevede invece per la stessa data una domanda di 11,9 Mtep, di cui 6,7 Mtep consumati dai trasporti e 3,7 Mtep dall’industria.

Lato offerta la strategia si muove su due ipotesi distinte. La prima vede una predominanza della produzione nazionale di idrogeno verde (70% dei consumi totali) sostenuta da 15-30 GW di elettrolizzatori (il numero è legato alla domanda) a fronte di un investimento tra gli 8-16 miliardi di euro. La quota rimanente (30%) verrebbe invece importata dall’estero.

La seconda ipotesi è caratterizzata da una predominanza di idrogeno importato (80% dei consumi totali). In questo caso per sostenere la produzione nazionale di H2 verde (20%) sarebbe necessario realizzare 4-9 GW di elettrolizzatori investendo tra gli 2-5 miliardi di euro.

Exit mobile version