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Missione idrogeno verde, la tessera che mancava per decarbonizzare l’economia

Idrogeno verde

credits ju Irun da Pixabay

ammoniaca verde
Credits: ju Irun da Pixabay

L’idrogeno verde potrebbe costare meno di quello blu già nel 2026

(Rinnovabili.it) – “Per centrare i nostri obiettivi climatici dobbiamo accelerare la costruzione di un’economia europea dell’idrogeno”. Puntando sull’idrogeno verde che “oggi può già essere meno caro dell’idrogeno grigio” prodotto con le fossili, visto l’aumento recente del prezzo del gas. Inaugurando l’European Hydrogen Week 2021 il 29 novembre scorso, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha ricordato le coordinate fondamentali in cui muoversi per fare dell’idrogeno rinnovabile uno dei pilastri principali della transizione energetica. Competitività del vettore idrogeno verde rispetto ai concorrenti che generano alte emissioni, innovazione e ricerca, sinergie industriali, integrazione con lo sviluppo delle rinnovabili. Di cosa c’è bisogno, concretamente, per dare il giusto impulso al green hydrogen? E come si sta muovendo l’Italia?

La vera sfida dell’idrogeno verde? Accelerare la riduzione dei costi della tecnologia ma è importante utilizzarlo solo dove non vi sono soluzioni di decarbonizzazione più efficienti

La cosa più importante da fare è una sola: accelerare. Oggi la domanda globale di idrogeno – circa 90 Mt all’anno – è quasi interamente soddisfatta da idrogeno prodotto a partire da carbone e gas con significative emissioni di anidride carbonica. I principali scenari verso emissioni nette zero nel 2050 e compatibili con un riscaldamento globale di 1,5 gradi ci dicono che la produzione di idrogeno rinnovabile deve crescere di un fattore 6. E per accelerare, le priorità sono due: abbattere i costi dell’idrogeno rinnovabile e concentrare gli sforzi negli ambiti dove rappresenta la soluzione più efficiente.

La curva dei costi dell’idrogeno rinnovabile deve scendere davvero rapidamente. È possibile? I precedenti fanno ben sperare. In 10 anni il costo del fotovoltaico è sceso di 9 volte mentre il rapporto tra l’energia reale prodotta e quella che un impianto avrebbe potuto produrre alla massima capacità (capacity factor) è cresciuto del 30%. Traiettoria simile per lo storage: sullo stesso periodo le batterie al litio costano 9 volte di meno mentre la densità energetica è lievitata di quasi il 50%. Per replicare queste storie di successo, la chiave è l’innovazione tecnologica.

Ovviamente c’è una precondizione: serve energia pulita, e tanta. Secondo alcune stime, l’Italia al 2030 potrebbe aver bisogno di 15-20GW di nuova capacità rinnovabile, oltre ai target del PNIEC, per l’H2 verde in settori come raffinazione, processi chimici e produzione di ammoniaca, ovvero per sostituire l’attuale consumo di idrogeno grigio pari a circa 500mila tonnellate all’anno. Torna quindi il tema, davvero cruciale, dei procedimenti autorizzativi per la costruzione e l’esercizio di nuova capacità rinnovabile, che in Italia presentano – ad oggi – tempistiche lunghe ed esiti incerti, non coerenti con gli obiettivi di decarbonizzazione del Paese.

Buone e cattive strade

Ma l’innovazione, al pari dei finanziamenti e delle attenzioni della politica, deve scorrere nei giusti canali senza disperdersi in rivoli che si riveleranno non solo sterili ma ci incatenerebbero anche a delle tecnologie che si riveleranno desuete prima ancora di entrare in esercizio. È il caso dell’idrogeno blu, quello ottenuto da fonti fossili con parziale sequestro di CO2. Intanto, perché non è affatto privo di emissioni: rilascia in atmosfera dal 30 al 60% delle emissioni che genera lungo l’intero ciclo di vita, circa 13 kgCO2e/kgH2. Poi, perché non conviene nemmeno sotto il profilo economico. Secondo molte analisi l’idrogeno verde sarà più competitivo dell’H2 blu già nel 2030, per BNEF il sorpasso potrebbe avvenire anche prima fra il 2026 e il 2028. Significa che non ha nemmeno senso iniziare a lavorare su quello cosiddetto low-carbon: prima di installare gli impianti per la cattura della CO2, azione che richiede tempo, l’idrogeno rinnovabile sarà già diventato meno caro.

La strategia italiana sull’idrogeno, per quanto si comprende dalle linee guida pubblicate di recente dal MiSE, va nella direzione dell’Idrogeno Verde. Ma andrà calibrata bene. L’idrogeno verde non è una panacea, impiegarlo in certi settori avrebbe poco senso. Riscaldare con caldaie a idrogeno, ad esempio, è 5 volte meno efficiente che con pompe di calore alimentate da energia rinnovabile. Usare l’H2 stoccato per la generazione elettrica è poco efficiente e non conviene economicamente. Dare l’ok alla miscela di idrogeno e gas nelle pipeline allunga la vita di questa fonte fossile e di questi asset tecnologici obsoleti, e soprattutto porta l’idrogeno in tutti i settori senza prioritizzarlo per quelli dove il loro utilizzo è più efficiente. Quindi dovrebbe richiedere quanto meno un’analisi costi/benefici rigorosa. Il vettore energetico idrogeno verde può fare la differenza, invece, nei settori difficili da elettrificare. L’industria pesante, ad esempio, con raffinazione, produzione di fertilizzanti e ammoniaca, acciaio e cemento in testa. O, ancora, i trasporti via aria e quelli via mare a lunga percorrenza.

Trasportare elettricità, non idrogeno

È su questi ambiti più promettenti che vanno incanalati gli sforzi per sfruttare al meglio le potenzialità che l’idrogeno verde offre alla decarbonizzazione. L’obiettivo di fondo è quello di promuovere una filiera di valore nel lungo termine e dare più sostenibilità alle iniziative. Per questo, uno dei tasselli fondamentali affinché un’economia dell’idrogeno prenda piede in fretta e si rafforzi presto è la scelta di come impostare l’equazione tra fonti rinnovabili, elettricità, elettrolizzatori e domanda di idrogeno.

Secondo uno studio pubblicato dal Cesi a inizio ottobre, per produrre idrogeno verde in maniera più conveniente nel breve e medio termine bisogna preferire il trasporto elettrico a quello dei gasdotti. Le pipeline sono scartate sia come infrastrutture dedicate sia per ricevere interventi di retrofitting, mentre gli scenari più convenienti sono due. Quello decentralizzato, con elettrolizzatori e impianti rinnovabili nei pressi dei centri di consumo, e collegati alla rete elettrica. E quello con trasporto di elettricità, dove gli impianti rinnovabili si trovano nelle aree più favorevoli in termini di producibilità e che la loro elettricità sia trasmessa attraverso l’infrastruttura di rete elettrica agli elettrolizzatori installati vicino ai siti di domanda di idrogeno.

Il modello Enel Green Power sull’idrogeno verde

Sono modelli già tradotti in realtà dalle prime sperimentazioni nel nostro paese. È il caso di un player di rilievo nella transizione energetica dell’Italia (e del mondo) come Enel Green Power, che sceglie di installare i siti di produzione di idrogeno verde vicino a quelli di consumo. Da fine 2020 insieme a Eni è allo studio la configurazione migliore del progetto idrogeno per la raffineria Eni di Taranto e della bioraffineria Eni di Gela. I due progetti partiranno nel 2024 e saranno basati, rispettivamente, da elettrolizzatori da circa 10 MW e 20 MW, alimentati da progetti fotovoltaici di Enel Green Power in sviluppo in Puglia e Sicilia. Un altro progetto è in cantiere in Sardegna, per fornire alle raffinerie Saras idrogeno verde prodotto con energia eolico e fotovoltaico anche questo da impianti Enel Green Power in sviluppo nell’isola.

In ottica di filiera, Enel Green Power sta creando in Sicilia una piattaforma di test su scala industriale con cui lavorare con tutti i portatori di interesse: dalle startup ai player industriali, dagli investitori a centri di ricerca, passando per le comunità locali e gli utenti finali. Il progetto – già preselezionato tra gli IPCEI – sfrutta un impianto eolico da circa 20MW, è integrato in un contesto industriale e serve per validare sul campo sia sistemi di elettrolisi fino a 1MW, sia moduli di elettrolizzatori che sperimentano tecnologie meno mature come quelle basate su ossidi solidi (SOE) o le membrane a scambio anionico (AEM), ma anche sistemi di accumulo basati su liquidi organici (LOHC) o “spugne” metalliche (MOF, metal organic framework). E ancora, sistemi di integrazione elettrolizzatori-rinnovabili, monitoraggio e diagnostica. Il progetto è in attesa dell’ok finale di Bruxelles per poter poi iniziare le attività di validazione nel 2023, ma Enel Green Power sta già lavorando con le startups e gli altri stakeholder per definire le modalità di cooperazione.

Piattaforme come questa sono laboratori da cui usciranno le innovazioni tecnologiche che permetteranno di abbattere i costi degli elettrolizzatori e aumentarne le performance, e quindi accelereranno la penetrazione dell’H2 rinnovabile. Perché l’idrogeno verde diventi competitivo bisogna ridurre di circa 6 volte i costi, portandoli a 150-250 k€/MW in funzione della configurazione di integrazione con le rinnovabili e aumentare le efficienze dal 60-65% di oggi fino al 75-85%.

Un processo che si svilupperebbe prima e meglio con investimenti mirati, magari tramite programmi di supporto di breve termine, ma anche con incentivi alla produzione e all’uso di idrogeno pulito che mirino a stimolare la domanda e quindi rafforzare il mercato. In questo senso potrebbe aiutare anche la creazione di uno standard di certificazione internazionale che valorizzi l’H2 verde su quello blu e grigio, magari partendo dal sistema che la Commissione Europea costruirà con le iniziative legislative in corso di definizione . La corsa all’idrogeno verde richiede inevitabilmente di installare ulteriore capacità da fonti rinnovabili rispetto a quanto oggi previsto dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima – Piano nazionale che peraltro è in corso di aggiornamento al rialzo, in virtù delle più recenti ambizioni climatiche europee in merito alla riduzione delle emissioni climalteranti. Su questo fronte risultano dunque necessarie e urgenti ulteriori misure volte a garantire procedure autorizzative efficienti, anche – ma non solo – attraverso la sinergia con il vettore energetico e le relative misure normative introdotte dal Decreto di recepimento della Direttiva Europea RED II per lo sviluppo di progettualità ibride rinnovabili – idrogeno

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