Rinnovabili

Idrogeno: bastano delle pile AAA per rompere le molecole d’acqua

Idrogeno: bastano delle pile AAA per rompere le molecole d’acqua(Rinnovabili.it) – I veicoli a idrogeno sono ormai pronti a raggiungere il mercato di massa, ma lo sono anche gli impianti di produzione e rifornimento di questo vettore energetico? In realtà no, la produzione di gas idrogeno in maniera affidabile ed economica è in gran parte ancora una chimera. Ad accorciare le distanze tra sogno e realtà è oggi la nuova invenzione degli scienziati di Standford. Un team della Stanford University ha sviluppato, infatti, un dispositivo a basso costo e zero emissioni che utilizza un’ordinaria batteria AAA per produrre idrogeno attraverso l’elettrolisi dell’acqua. A differenza di altri processi di scissione che utilizzano catalizzatori a base di metalli preziosi, gli elettrodi del dispositivo di Stanford sono fatti di nichel e ferro, due elementi economici e abbondanti.

 

Utilizzando nichel e ferro siamo stati in grado di rendere gli elettrocatalizzatori abbastanza attivi per rompere le molecole d’acqua a temperatura ambiente con una singola batteria da 1,5 volt, ha spiegato Hongjie Dai, professore di chimica presso l’ateneo. “Questa è la prima volta che qualcuno riesce ad impiegare catalizzatori metallici non preziosi per dividere l’acqua ad una bassa tensione. E’ davvero notevole, perché normalmente sono necessari materiali costosi, come il platino o l’iridio”, per ottenere lo stesso risultato. Secondo Dai, oltre a produrre idrogeno, la tecnica di scissione potrebbe essere usata per ottenere l’idrossido di sodio, un’importante sostanza chimica industriale. 

 

La scoperta è stata fatta dal laureato Ming Gong, co-autore dello studio. “Ming ha scoperto una struttura in nichel-metallo/nichel-ossido, che risulta essere più attiva del metallo nichelato puro”, ha aggiunto Dai. “Questa configurazione favorisce elettrocatalisi, ma ancora non siamo riusciti a comprendere appieno come funzioni”. I ricercatori descrivono il nuovo dispositivo in uno studio pubblicato il 22 agosto sulla rivista Nature Communications. 

Exit mobile version