Produzione e consumo di idrogeno: le potenzialità dell’Italia
Gli obiettivi sull’idrogeno inseriti nella versione finale del PNIEC sono “molto cauti”. Il vettore energetico potrebbe offrire “straordinarie potenzialità” per decarbonizzare industria e trasporti visti i volumi di mercato potenziale e la pipeline di progetti che aumenteranno la capacità di elettrolisi nazionale. Potenzialità che rischiano di restare, in larga parte, inespresse. A mancare è soprattutto una visione a medio-lungo termine che ponga le condizioni ottimali per lo sviluppo di una filiera nazionale. È il quadro sull’idrogeno in Italia presentato nel rapporto Hydrogen Innovation Report 2024 curato dall’Energy & Strategy del Politecnico di Milano.
Lo studio si concentra sull’idrogeno “sostenibile”. Non solo, quindi, la molecola prodotta con fonti rinnovabili, ma anche con fonti fossili in accoppiamento con tecnologie di cattura della CO2. Con due affondi sulle potenzialità del bio-idrogeno e dell’idrogeno naturale. E lo fa inserendo l’Italia nel più ampio contesto europeo e mettendo a confronto obiettivi nazionali e comunitari, quadro normativo e capacità (attuale e futura) di produzione.
Idrogeno in Italia: potenzialità e aspetti chiave
L’analisi sullo stato attuale e sulle prospettive di sviluppo dell’idrogeno in Italia condotta dal PoliMi parte da una stima del fabbisogno potenziale massimo a livello nazionale, con dati di dettaglio per i settori di industria, trasporti e civile. Per questi tre ambiti è presentata una valutazione del potenziale in rapporto agli obiettivi fissati dal PNIEC (se esistenti) e la capacità di elettrolisi sottesa.
Il fabbisogno nazionale massimo complessivo, stima il PoliMi, si attesta a 15,3 milioni di tonnellate (Mt) di idrogeno. Una cifra elevata se messa a paragone con il target a livello europeo, 20 Mt al 2030. Il fabbisogno è così ripartito:
- il 36% (5,5 Mt) origina dal settore industriale. Di questa quota, il 77% è relativa ai settori hard to abate. Il quantitativo è stimato sulla base di due possibili applicazioni: sostituire l’attuale domanda di idrogeno grigio come feedstock e convertire completamente i consumi attuali di gas;
- il 50% (6,7 Mt) origina dal settore civile. Anche in questo caso, la cifra poggia sull’ipotesi di una completa conversione degli attuali consumi di gas metano e combustibili petroliferi del settore. Si tratta più che altro di un’ipotesi di scuola, dato che la soluzione più accessibile e conveniente, per questo settore, è l’elettrificazione;
- il restante 14% (2,1 Mt) attiene al settore trasporti, dove il PoliMi ha ipotizzato di sostituire con H2 sostenibile il fabbisogno attuale di fossili del trasporto pesante su gomma e del trasporto ferroviario a diesel.
H2 nel settore industriale
Là dove il PNIEC avrebbe potuto fissare obiettivi ambiziosi, indica invece una penetrazione bassissima del vettore. Per il settore industriale, il Piano prevede appena 0,115 Mt al 2030, pari al 2,1% del potenziale massimo stimato dal PoliMi. Anche considerando solo l’industria HtA – hard to abate (carta, acciaio, cemento, vetro, gesso, chimico, petrolchimico, raffinazione), la percentuale sale appena al 2,8%.
Per soddisfare il potenziale massimo di 5,5 Mt, secondo il rapporto sarebbero necessari:
- 35 GW di nuova capacità di elettrolisi (di cui 28 GW per le esigenze dei settori hard to abate);
- 180 GW di capacità rinnovabile aggiuntiva (136 GW per l’HtA).
H2 nel settore trasporti
La stessa, enorme distanza tra obiettivi fissati nel PNIEC e fabbisogno massimo potenziale si ravvisa nel settore dei trasporti. Il Piano fissa come target 0,136 Mt di idrogeno al 2030, pari appena al 6,8% del potenziale fabbisogno complessivo, in larghissima parte attinente alla decarbonizzazione del trasporto pesante su gomma.
Per soddisfare il potenziale massimo di 2,1 Mt, secondo il PoliMi servirebbero:
- 15 GW aggiuntivi di capacità di elettrolisi;
- 70 GW rinnovabili aggiuntivi.
La filiera dell’idrogeno in Italia
Il rapporto del PoliMi contribuisce anche a fare chiarezza sui punti di forza e i punti di debolezza che presenterebbero le 4 diverse configurazioni possibili della filiera dell’idrogeno esaminate già nelle edizioni precedenti. La sintesi dei pro e contro nei 4 casi è esposta in questo specchietto:
Qual è la configurazione di filiera più appropriata per decarbonizzare l’acciaio in Italia, che genera circa il 4,5% delle emissioni nazionali? Due le strade principali, secondo il PoliMi: produzione centralizzata o in loco tramite contratto PPA. Scartata, quindi, l’opzione di rinnovabili in loco.
La valutazione si basa sulla diffusione disomogenea dell’industria sul territorio (dei 35 siti attivi, 14 sono in Lombardia, 6 in Veneto) e delle caratteristiche produttive (Taranto è l’unico sito a produrre acciaio primario, gli altri producono acciaio secondario tramite forni elettrici). Il volume di idrogeno necessario per decarbonizzare la produzione totale (21,6 Mt) si aggirerebbe intorno alle 0,68 Mt annue. Per ottenerle – calcolando solo idrogeno verde –servirebbero 5 GW di elettrolisi e 22 GW di FER aggiuntive.
Il quadro normativo: manca una strategia nazionale
Nel panorama europeo, gli ultimi anni hanno registrato una veloce evoluzione del quadro normativo sull’idrogeno, che intervengono sia lato domanda che lato offerta e si concentrano su industria e trasporti. Si tratta della RED III e di provvedimenti specifici come l’AFIR, la FuelEU Maritime e la ReFuelEU Aviation, oltre alla revisione delle norme che regolano l’infrastruttura e il mercato del gas.
A fronte di questo sforzo comunitario e di obiettivi chiari a livello europeo, i paesi UE si stanno muovendo in ordine sparso, con modalità difformi e a velocità diverse. La Germania, ad esempio, è il paese che più di tutti punta sulla penetrazione dell’idrogeno nel proprio tessuto industriale ma ipotizza di fare affidamento soprattutto sull’importazione dall’estero. Al contrario della Francia, che lega l’idrogeno all’abbondanza di energia nucleare. La Spagna, ancora, punta a imporsi come esportatore netto a partire da una produzione di idrogeno rinnovabile che sfrutti il potenziale eolico e fotovoltaico iberico.
Su questo sfondo, l’Italia sembra essere tra le grandi economie europee quella meno pronta, o più incerta. “L’Italia ancora manca di una strategia nazionale per l’idrogeno”, sottolinea il PoliMi, passaggio “di primaria importanza” per permettere agli operatori di elaborare strategie di azione e per dare il via allo sviluppo di una filiera nazionale per l’idrogeno. Strategia che, stando agli ultimi annunci, dovrebbe essere pubblicata entro l’estate, a 4 anni dalla pubblicazione delle linee guida.
L’operazione compiuta col PNIEC riflette la mancanza di questo tassello cruciale per una visione nazionale sull’idrogeno. Il Piano non fa altro che declinare in chiave italiana gli obiettivi europei, senza aggiungere altra ambizione né modularli in base alle priorità identificate. Mentre resta ancora sulle scrivanie dei ministeri il Decreto Idrogeno, che dovrebbe proporre uno schema incentivante con l’obiettivo di concedere un contributo in conto esercizio e coprire una parte degli elevati costi di produzione dell’idrogeno rinnovabile. Anche il decreto dovrebbe vedere la luce entro l’estate.
Leggi qui il report del Politecnico di Milano