In un impianto pilota in Svizzera, i ricercatori dell'ETH di Zuirgo stanno dimostrando come sia possibile impiegare il ferro per immagazzinare l'idrogeno in maniera affidabile e sicura per mesi. Aprendo le porta ad un nuovo sistema d'accumulo energetico stagionale
Immagazzinare l’idrogeno nel ferro, una soluzione fattibile?
Arriva dalla Svizzera e più precisamente da un gruppo di ricerca dell’ETH di Zurigo, un nuovo sistema d’accumulo a lungo termine per l’idrogeno sicuro, economico ed efficiente. Il segreto del suo successo? Un elemento comune e facilmente reperibile: il ferro. Il lavoro condotto da un gruppo di scienziati del Dipartimento di chimica e bioscienze, guidati dal professore Wendelin Stark, ha ripescato un vecchio processo – noto fin dal XIX secolo – fornendogli un nuovo scopo. È nato così un sistema a base di idrogeno immagazzinato nel ferro, che potrebbe essere impiegato, ad esempio, per conservare l’energia solare catturata durante l’estate, fino all’inverno.
Ma per comprendere la portata dello studio è opportuno compiere qualche passo indietro.
Come conservare l’idrogeno per lunghi periodi
Impiegare l’idrogeno come sistema d’accumulo dell’energie rinnovabili non programmabili è uno grandi trend della transizione energetica. Ma affinché sia una soluzione commercialmente valida, il vettore H2 deve poter essere immagazzinato su lunghi periodi in maniera sicura ed economica. Peccato che, al momento, le tecnologie più diffuse per conservarlo siano di tipo “fisico” e prevedano l’impiego di speciali contenitori pressurizzati, formazioni naturali e/o processi di raffreddamento. Si tratta di metodi particolarmente costosi sotto il profilo energetico che non escludono alcuni fattori di rischio.
L’alternativa più promettente? Lo stoccaggio chimico dell’idrogeno. In questo campo negli ultimi anni si sono rivelati particolarmente promettenti i vettori liquidi di idrogeno, chiamati anche LOCH, acronimo di “liquid organic hydrogen carriers”. Questi trasportatori possono intrappolare chimicamente e quindi rilasciare le molecole di idrogeno attraverso cicli completamente reversibili. Il problema in questo caso è riuscire a trovare il LOCH perfetto tra i miliardi di composti potenzialmente utili allo scopo.
La “batteria” ferro-idrogeno-acqua dell’ETH di Zurigo
In questo contesto l’approccio dell’ETH di Zurigo appare più solido. Letteralmente. Il team ha preso ispirazione dal processo di produzione di H2 mediante l’impiego del ferro-vapore, inventato per la prima volta nel 1784. Questo sistema – abbandonato con l’invenzione dello steam reforming – generava idrogeno facendo passare vapore acqueo su un letto di ferro rovente a 600 °C.
Nel nuovo sistema gli scienziati immettono l’idrogeno verde (generato grazie alle rinnovabili) in un reattore in acciaio inossidabile riempito con ossido di ferro minerale a 400 °C. L’idrogeno estrae l’ossigeno dal minerale, dando origine a ferro elementare e acqua. Quando si vuole ottener indietro l’energia, basta invertire il processo, ossia immettere vapore nel reattore per ottenere ossido di ferro e idrogeno. Per mantenere al minimo l’energia richiesta, il vapore viene generato utilizzando il calore di scarto della reazione di scarico.
Il reattore in cui avviene la reazione – spiegano gli scienziati – non deve soddisfare particolari requisiti di sicurezza e lavora a pressione ambiente.
Un prototipo su scala reale per immagazzinare l’idrogeno nel ferro
Il team ha sperimentato la sua tecnologia per l’idrogeno immagazzinato nel ferro nel campus di Hönggerberg dell’ETH, utilizzando tre reattori in acciaio inossidabile. Ognuno di essi ha una capacità di 1,4 metri cubi ed è riempito con 2-3 tonnellate di minerale di ferro. L’impianto dimostrativo può immagazzinare circa 10 MWh di idrogeno per periodi prolungati. “A seconda di come si converte l’idrogeno in elettricità, si otterranno tra 4 e 6 MWh di elettricità“, spiega Samuel Heiniger, uno dei ricercatori che ha lavorato allo studio. La ricerca è stata pubblicata su Sustainable Energy & Fuels 2024 (testo in inglese).