Grazie ad un nuovo composto economico e sostenibile, gli ingegneri chimici dell'EPFL hanno sviluppato un nuovo approccio alla fotosintesi artificiale
Nuovi passi avanti per la fotosintesi artificiale
(Rinnovabili.it) – “La fotosintesi artificiale è il Santo Graal di tutti i chimici”. Così Astrid Olaya, ingegnere chimico dell’EPFL spiega perché questa tecnologia è divenuto uno dei “pallini” di ricerca dell’Istituto di scienze chimiche e ingegneria. La versione umana del più noto processo naturale ha da sempre un ambizioso obiettivo: replicare e migliorare quello che piante e organismi fotosintetici fanno da miliardi di anni. Ossia sfruttare direttamente l’energia solare per produrre elementi chimici utili, come ad esempio l’idrogeno.
Gli studi in questo campo hanno portato alla progettazioni di diversi dispositivi prototipali a livello globale. Tuttavia l’efficienza complessiva ha sempre lasciato a desiderare. Oggi l’EPFL offre un nuovo approccio per aumentarne la resa, risolvendo alcuni degli ostacoli classici.
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I più comuni dispositivi di fotosintesi artificiale sono costituiti da un colorante che assorbe la luce chiamato antenna, accoppiato con un semiconduttore che separa le cariche elettriche. Completa il quadro un elettrocatalizzatore che guida la reazione di riduzione-ossidazione dell’acqua.
Nel complesso il processo è molto lento. “Il problema sta nella difficoltà di trovare materiali per elettrodi con un’elevata stabilità chimica, proprietà optoelettroniche adeguate e un’elevata efficienza catalitica”, afferma Olaya. Ecco perché la scienziata ha deciso di metter mano al design classico.
TTF, il segreto dell’efficienza è la semplicità
“In questo studio, abbiamo foto-ossidato l’acqua con una semplice molecola organica: il tetratiafulvalene (TTF)”, spiega Olaya. “È stato dimostrato che una versione salina del TTF può autoassemblarsi in microbarre che fungono da antenne per raccogliere la luce visibile e in pompe di elettroni per ossidare l’acqua in ossigeno”. Di solito si tratta di una reazione lenta e multifase, ma l’impilamento delle molecole di sale TTF può effettivamente velocizzare il processo “catturando” i quattro elettroni necessari per l’ossidazione di una molecola d’acqua e producendo i protoni necessari per la generazione di idrogeno.
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I ricercatori hanno anche utilizzato l’acqua in un’emulsione di olio. “L’antenna TTF può risiedere nella fase oleosa vicino alla fase acquosa, dove vengono estratti i protoni prodotti dall’ossidazione dell’acqua”, afferma Olaya. “Come nella fotosintesi naturale, il sistema bifasico consente un’efficiente separazione dei reagenti e dei prodotti“. Il tetratiafulvalene è composto solo da carbonio, zolfo e idrogeno garantendo pertanto una maggiore economia e sostenibilità rispetto ai metodi che impiegano metalli preziosi, come platino o iridio. Il lavoro è stato pubblicato dal Journal of American Chemical Society Gold (testo in inglese).