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Filiera italiana dell’idrogeno, i numeri

Osservatorio H2IT pubblica i nuovi dati sul comparto italiano dell'idrogeno mostrando un settore in forte evoluzione, ricco di PMI attive e all'avanguardia. Moressa (Intesa Sanpaolo): "La metà delle imprese dimostra di avere un’alta maturità di innovazione, con brevetti pronti all’industrializzazione"

Filiera italiana dell'idrogeno
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 Idrogeno in Italia, tra investimenti e innovazione

(Rinnovabili.it) – Come sta la filiera italiana dell’idrogeno? Su quali fondi può contare? E quali sono i settori con maggior attesa di sviluppo a livello nazionale da qui al 2030? A queste domande risponde l’Osservatorio sull’idrogeno in Italia, realizzato da H2IT, Associazione italiana idrogeno, la Direzione Studi e Ricerche e l’Innovation Center di Intesa Sanpaolo. Il documento riporta i risultati dell’indagine condotta su 55 imprese, per lo più PMI ma con una presenza significativa anche di grandi realtà.

 “L’analisi restituisce il profilo di una filiera italiana dell’idrogeno molto eterogenea nelle dimensioni delle imprese coinvolte ha dichiarato Anna Maria Moressa, economista della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo. “Fra queste spicca un gruppo di PMI che possiede una forte mission, alte potenzialità di innovazione, in grado di intrecciare alleanze industriali trasversali con altri settori, da quello chimico e meccanico a quello informatico, e di collaborare con centri di ricerca nazionali e internazionali. La metà delle imprese dimostra di avere un’alta maturità di innovazione, con brevetti pronti all’industrializzazione”.

La filiera italiana dell’idrogeno, parola alle imprese

Nel complesso la filiera italiana dell’idrogeno si muove su sette macrosettori differenti: produzione (campo in cui è attivo il 53% del campione); servizi (49%); mobilità (45%); utilizzo (31%), integrazione dei sistemi (29%); Energy Company (29%), trasporto e stoccaggio (25%); sicurezza e certificazione (15%). Per il 71% di queste realtà possedere un centro di ricerca interno dedicato al vettore è prassi e sull’innovazione confluisce, infatti, la maggior parte degli investimenti (oggi ancora per lo più privati). Non sorprende dunque scoprire che negli ultimi cinque anni oltre 1 azienda su 3 ha ottenuto almeno un brevetto o è in procinto di farlo. La percentuale sale all’85% tra chi si occupa di tecnologie produttive dell’H2.

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Collaborazione e formazione nell’H2 italiano

Alla base della capacità d’innovare c’è anche la grande attenzione della filiera italiana dell’idrogeno alla collaborazione. L’Osservatorio sull’H2 nazionale rivela che per il 64% delle imprese le partnership interaziendali sono il modo migliore per crescere in ottica di innovazione collaborativa. Seguono le collaborazioni con le Università (60%) e con i tavoli di lavoro nazionali/internazionali (49%).

Per crescere ancora l’idrogeno in Italia ha bisogno anche e soprattutto di lavoratori altamente specializzati. Per questo le aziende guardano sia alla formazione interna che alle nuove assunzioni. In tal senso, il 42% della filiera aumenterà i profili di Project manager entro fine anno e punterà ancor di più sul reclutamento di tecnici specializzati (49%), il cui reperimento sul mercato è ritenuto particolarmente complesso in gran parte dei casi. Quasi un’impresa su due ricerca anche le figure junior da formare (47%) e project manager (42%); seguono le figure specializzate in ambito green (35%) e i tecnici di laboratorio (22%).

La filiera Italiana dell’idrogeno si concentra nel Nord Italia

Per ora i risultati si toccano con mano. In termini di fatturato, lo scorso anno si è chiuso nel complesso con un segno positivo per il 71% del campione, mentre il 58% delle aziende ha registrato un incremento il giro d’affari. I territori italiani più “fertili” per l’H2? Ad oggi il Nord Italia, soprattutto in Lombardia, che da sola ospita le imprese che realizzano il 60% del fatturato da idrogeno italiano. L’Osservatorio offre anche un sguardo al futuro mostrando i settori che, secondo le imprese, cresceranno di più da qui al 2030. Su tutti spicca la mobilità (85% delle risposte), seguita dai settori hard-to-abate (67%) e lo storage di elettricità rinnovabile (55%). 

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