Come molti altri grandi player mondiali dell’energia, Enel, ha scelto di presidiare attivamente lo sviluppo di questa tecnologia che da anni viene definita “dalle grandi potenzialità”, la cui diffusione però rimane al momento ostacolata da alcuni limiti tecnici
(Rinnovabili.it) – Una domanda di 115 milioni di tonnellate nello scorso anno, coperta per circa 70 milioni di tonnellate da produzione dedicata e per la restante parte da idrogeno derivato come by-product di processi industriali, in crescita del 3,5% rispetto al 2017 e di circa tre volte rispetto ai valori del 1975. Un mercato che vale attualmente 12,3 miliardi di euro e che entro il 2024 supererà i 16, secondo le stime più prudenti. L’impiego dell’idrogeno nel sistema energetico globale è destinato ad aumentare in un contesto di decarbonizzazione e di crescente affidamento a vettori energetici efficienti ed economici. Cruciali per il successo dei progetti legati alla molecola biatomica saranno le scelte dei big globali dell’energia come Enel, che ne osserva da vicino gli sviluppi tecnologici.
Le cifre dell’H2
Vediamo innanzitutto alcuni dati. Attualmente quasi il 100% della domanda di idrogeno mondiale è assorbita dal settore industriale, che se ne serve come materia prima. L’idrogeno infatti è reagente fondamentale in vari processi chimici come la produzione di ammoniaca per i fertilizzanti agricoli o quella di cicloesano e metanolo – due intermedi per ottenere plastica e prodotti farmaceutici. Tuttavia, l’elemento più leggero ed abbondante della tavola periodica è anche dannoso per il clima. Secondo l’International Energy Agency (IEA) infatti, il 98% della produzione di H2 proviene da fonti fossili, causando emissioni di CO2 per 830 milioni di tonnellate all’anno, pari circa alla somma delle emissioni annue di UK e Indonesia. La maggior parte della produzione, 76%, si basa sul processo di steam methane reforming (SMR), che fa reagire metano (CH4) e vapore acqueo (H2O) per ottenere idrogeno e anidride carbonica (CO2), mentre mediante gassificazione – che impiega carbone al posto del metano – se ne produce circa il 22%. Questa quota fossile di idrogeno viene detta “grey hydrogen”, idrogeno grigio, in contrapposizione con il “green hydrogen”, prodotto invece mediante elettrolisi – con cui si scinde la molecola dell’acqua (H2O) nei suoi due componenti idrogeno e ossigeno – alimentata da energia elettrica ottenuta da fonti rinnovabili e che dunque a zero emissioni di CO2. Sostituire la produzione di idrogeno da fonti fossili con idrogeno verde potrebbe dare un contributo significativo alla lotta contro il cambiamento climatico.
C’è un problema però: l’elettrolisi dell’acqua è un processo fortemente energivoro. Basti pensare che ad oggi, se si volesse soddisfare la domanda globale di idrogeno mediante elettrolisi, verrebbero impiegati 3600 TWh – una quantità di energia circa pari all’intera generazione annua dell’Unione Europea. Questi i numeri contenuti nel report di International Energy Agency (IEA), “The Future of Hydrogen, 2019”.
Le applicazioni potenziali dell’idrogeno nel settore energetico sono molteplici: oltre agli usi industriali, vanno dall’autotrasporto – con mezzi mossi da fuel cell – all’utilizzo come buffer energetico di lunga durata per garantire flessibilità alla rete elettrica in presenza di quote particolarmente elevate di rinnovabili intermittenti nel mix produttivo.
Il futuro dell’idrogeno in Enel
Dunque, crescita progressiva ma ancora grandi potenzialità da esprimere per le tecnologie che si servono dell’elemento più abbondante dell’universo.
Enel, in linea con il proprio approccio di innovazione finalizzato allo sviluppo di tecnologie che favoriscano l’ampia diffusione della generazione da fonti rinnovabili, sta considerando di sviluppare progetti basati sulla produzione di idrogeno verde prodotto da elettrolisi alimentata da energia elettrica rinnovabile. L’azienda infatti ritiene che questa sia l’unica modalità di produzione dell’idrogeno sostenibile nel lungo termine, caratterizzata da zero emissioni di gas a effetto serra e alimentata da fonti rinnovabili. Ogni altro processo produttivo alternativo non gode di pari elementi di sostenibilità. Ad esempio il cosiddetto idrogeno blu (con cattura della CO2) utilizza fonti non-rinnovabili, è responsabile di emissioni di gas serra per la quota di CO2 non catturata e per le eventuali emissioni da perdite di metano lungo la catena produttiva a monte e ha ulteriori problemi di sostenibilità relativi allo stoccaggio della CO2 catturata L’idrogeno verde da biomasse pur essendo carbon neutral, non è scalabile a causa della limitata disponibilità di biomasse.
In tale ambito, il gruppo energetico italiano operante nei 5 continenti sta valutando l’opportunità di progetti dedicati alla decarbonizzazione di settori industriali cosiddetti “hard to abate”: raffinazione di petrolio, la chimica (ammoniaca, metanolo), la produzione di acciaio e di cemento. In queste industry l’uso di idrogeno è necessario (e.g. materia prima per l’industria non sostituibile da elettroni verdi) o economicamente più conveniente dell’uso diretto di energia elettrica rinnovabile (e.g. calore per alcuni processi ad alte temperature). Seguendo criteri di efficienza energetica ed economica, la maggior parte degli usi finali di energia al 2050 può essere decarbonizzata grazie all’elettrificazione diretta ed Enel ritiene che l’idrogeno verde possa avere il ruolo di vettore energetico a zero emissioni utile, insieme ad altri strumenti, per decarbonizzare la quota restante.