Rinnovabili • Centrali a gas pronte per l’idrogeno: “solo marketing” Rinnovabili • Centrali a gas pronte per l’idrogeno: “solo marketing”

Perché non conviene scommettere sulle centrali a gas pronte per l’idrogeno

Un rapporto dell’Ieefa valuta la convenienza economica e i benefici per l’ambiente di puntare sulla transizione da gas a idrogeno nella generazione elettrica. Investire oggi in impianti H2-ready o H2-capable significa allungare la vita al gas fossile senza avere prospettive concrete di abbattere significativamente le emissioni quando sarà impiegata una miscela metano-H2

Centrali a gas pronte per l’idrogeno: “solo marketing”
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Lo switch da gas a idrogeno è “poco più che un’operazione di marketing”

Nella migliore delle ipotesi, le centrali a gas “pronte per l’idrogeno” inizieranno a utilizzare l’H2 tra 10 anni. Per preparare la transizione da metano a H2, nel frattempo, serviranno investimenti corposi, tra creazione della domanda, delle infrastrutture di trasporto e della capacità di stoccaggio necessario. A conti fatti, quindi, puntare sullo switch da gas a idrogeno è “poco più che un’operazione di marketing” che non fa altro che “nascondere le innumerevoli carenze e le domande senza risposta” legate alle centrali a gas “hydrogen-ready” o “hydrogen-capable”.

A queste carenze e incognite dedica un rapporto l’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (Ieefa), che analizza alcuni progetti di centrali a gas “pronte per l’idrogeno” negli Stati Uniti. Ma i problemi sollevati dal think tank riguardano qualsiasi altro progetto analogo, inclusi quelli che stanno emergendo in Europa. Italia inclusa. Ad esempio, la centrale di Monfalcone è in via di riconversione e dovrebbe bruciare un mix di 70% di metano e 30% di idrogeno, mentre la centrale a gas di Marghera potrebbe utilizzare una miscela fino al 50%.

Centrali a gas pronte per l’idrogeno, il problema con la produzione

Il primo aspetto critico evidenziato dall’Ieefa è la quantità di idrogeno realmente a disposizione. Per il momento, la produzione del vettore energetico è così limitata rispetto a quelle che sarebbero le esigenze delle centrali a gas pronte per l’idrogeno che, per il prossimo futuro, si tratterebbe “semplicemente di nuove turbine alimentate a metano”. Il rapporto calcola che per alimentare solo le 15 centrali H2-ready più grandi degli Stati Uniti, il paese dovrebbe raddoppiare la produzione di idrogeno attuale. E il risultato di questo sforzo sarebbe soltanto di rimpiazzare meno del 10% dell’elettricità oggi generata dalla combustione di gas.

“Nonostante le affermazioni dei sostenitori, la realtà è che per almeno i prossimi 10 anni, qualsiasi centrale elettrica a gas “idonea all’idrogeno” funzionerà quasi completamente, se non completamente, utilizzando metano”, sottolinea Dennis Wamsted, analista dell’Ieefa e autore del rapporto. “È fondamentale che questi progetti siano valutati su questa base, non su un combustibile sperato, potenzialmente meno dannoso per l’ambiente, che è lontano anni dalla vasta disponibilità commerciale”.

Il nodo infrastrutture

Poi c’è l’aspetto legato alle infrastrutture. Negli Stati Uniti, così come in Europa, ad oggi non esiste una rete di distribuzione e trasporto per l’idrogeno capace di alimentare le centrali a gas pronte per l’idrogeno. Costruirla richiederebbe anni e miliardi di dollari. L’alternativa più quotata, oggi, è adattare la rete gas esistente al trasporto di una miscela di idrogeno e metano. Ma in questo caso il mix avrebbe al massimo un 20% di idrogeno, e a conti fatti – spiega l’Ieefa – permetterebbe una riduzione delle emissioni di gas serra di circa il 7% rispetto all’uso esclusivo di metano.

Analogo il ragionamento sulle infrastrutture per lo stoccaggio: oggi quelle dedicate per l’idrogeno sono virtualmente inesistenti (negli Stati Uniti coprono appena lo 0,1% della domanda annuale).

Pochi benefici sul fronte emissioni

A completare la valutazione sull’opportunità di puntare sulle centrali a gas pronte per l’idrogeno è un ragionamento sul rapporto tra costi e benefici ambientali. Il nodo è questo: i benefici di usare l’H2 diventano tangibili solo quando la quota di idrogeno miscelato a metano è molto alta. Un mix al 50% taglia le emissioni sono del 24%. Per dimezzare le emissioni bisogna arrivare a una quota di idrogeno del 77%. Per arrivare all’80% di emissioni in meno serve una miscela con l’H2 al 93%.

L’idrogeno fornisce solo benefici “marginali” nel ridurre le emissioni, e finché la quota di H2 nel mix è bassa “i costi infrastrutturali supererebbero di gran lunga qualsiasi beneficio ambientale”. Anche ipotizzando un mix composto prevalentemente da idrogeno verde, ad ogni modo, richiederebbe il consumo di “grandi quantità di energia rinnovabile che sarebbe meglio utilizzare direttamente per sostituire la generazione di combustibili fossili esistente”, conclude l’Ieefa.

Leggi qui il rapporto dell’Ieefa

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About Author / Lorenzo Marinone

Scrive per Rinnovabili dal 2016 ed è responsabile della sezione Clima & Ambiente. Si occupa in particolare di politiche per la transizione ecologica a livello nazionale, europeo e internazionale e di scienza del clima. Segue anche i temi legati allo sviluppo della mobilità sostenibile. In precedenza si è occupato di questi temi anche per altri siti online e riviste italiane.