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Centrale elettrica a idrogeno, ha davvero senso?

Un nuovo studio mostre sfide e soluzioni nel passaggio dell'attuale sistema termoelettrico a gas ad una alimentazione a idrogeno rigorosamente verde

Centrale elettrica a idrogeno
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Centrale a idrogeno, tra nuovi e vecchi progetti

(Rinnovabili.it) – Non tutti lo sanno, ma l’Italia dal 2010 al 2018 ha potuto vantare un encomiabile primato mondiale: per otto anni a Fusina (Venezia) è stata in funzione la prima centrale elettrica a idrogeno di livello industriale realizzata al mondo. L’impianto a ciclo combinato utilizzava 1,3 tonnellate di idrogeno all’ora, generato come sottoprodotto del ciclo produttivo del petrolchimico di Marghera. E, nonostante l’origine tutt’altro che pulita del vettore, rappresentava un unicum tecnologico a livello nazionale (e non solo). La struttura era nata per verificare la fattibilità tecnica dell’impiego dell’H2 puro in turbine a gas ma è stata sospesa all’indomani della chiusura del ciclo produttivo che la alimentava.

Oggi, 5 anni dopo, la spinta verso l’idrogeno è più forte che mai e in Europa, così come in Italia, l’idea di realizzare centrali termoelettriche ad H2 verde ha trovato uno suo spazio definito. A fare sul serio è soprattutto la Germania. Il governo tedesco sta preparando una serie di gare d’appalto per realizzare 23,8 GW di nuove centrali elettriche, di cui 8,8 GW “Hydrogen Ready” e 15 GW a gas naturale, da convertire in futuro.

Anche nel Belpaese i progetti non mancano. A novembre 2022 Snam ha concluso con successo alcuni test nella sua centrale di compressione del gas naturale di Istrana (Treviso), finalizzati a sperimentare l’utilizzo di idrogeno per la produzione elettrica. Il progetto ha richiesto l’installazione di una turbina progettata ad hoc, la NovaLT12 (della potenza di 12 MW), della Baker Hughes.

Centrali elettriche a idrogeno verde, le sfide future

Ma ha davvero senso realizzare una centrale ad idrogeno? E quali sfide dovranno essere superate prima che la soluzione possa essere economicamente ed energeticamente valida? A rispondere è un nuovo studio dell’Istituto Reiner Lemoine che confronta le definizioni esistenti di centrali elettriche H2-ready (letteralmente “predisposte per l’H2”), descrivendone i requisiti tecnici per il funzionamento e i potenziali costi di conversione degli impianti a gas.

L’economia di riferimento è quella tedesca, ma i risultati possono offrire importanti spunti di riflessione anche per l’Italia. Gli autori sostengono che l’idrogeno dovrebbe essere utilizzato nelle centrali elettriche solo quando non presenti “alternative più efficienti”. “L’idrogeno verde è un bene scarso nel prossimo futuro e dovrà essere importato in larga misura. Il rendimento combinato di elettrolisi e centrale elettrica è solo del 36% se entrambe le singole tecnologie hanno un rendimento del 60%. Dato questo contesto, la produzione di elettricità da H2 dovrebbe essere utilizzata solo se non sono disponibili alternative migliori”, si legge nel rapporto.

Cosa significa “Hydrogen Ready”?

Da tenere in conto che, al momento, si parla ancora di “Hydrogen Ready” (anche se non esiste una definizione europea condivisa), che significa impianti pronti, un domani, ad essere completamente convertiti al vettore. Lo sguardo è necessariamente rivolto al futuro perché le turbine a gas di dimensioni industriali alimentate al 100% con idrogeno non sono ancora disponibili in commercio. Attualmente il TRL di questi dispositivi è 7, che indica uno stato dimostrativo pre-commerciale.

Una delle prime mosse raccomandate dagli scienziati è lavorare a livello nazionale, o meglio ancora comunitario, su una definizione di “predisposizione all’H2” correlata ai costi per tutte le centrali elettriche, sia quelle che gestiscono il carico di base che quelle che forniscono il carico di punta. Suggeriscono inoltre di privilegiare le centrali a cogenerazione in grado di fornire la loro piena capacità elettrica in qualsiasi momento, indipendentemente dalla domanda di calore.

Nuove norme per le centrali a idrogeno

Uno degli aspetti che non può mancare è quello regolatorio. Gli scienziati avvertono che sarà necessario lavorare sulla creazione di norme e standard tecnici ad hoc per la centrale a idrogeno. “Per quanto riguarda i valori limite per gli ossidi di Azoto (NOx) occorre tenere presente che nella combustione di H2 la formazione di NOx è maggiore rispetto al gas naturale. Negli impianti a ciclo combinato, dopo il raffreddamento dei gas di scarico, è possibile installare nella caldaia a recupero di calore un’unità di denitrificazione con reazione autocatalitica per ridurre le emissioni di NOx ai valori limite abituali. Per le turbine a gas senza caldaia a recupero di calore ciò non è attualmente possibile, poiché le temperature dei gas di scarico sono troppo elevate per i convertitori catalitici”.