Il Paese sta costruendo centrali idroelettriche a una velocità vertiginosa per vendere energia alle nazioni vicine. Ma il recente disastro di Attapeu aumenta le critiche verso il programma governativo
Il crollo della diga nel Loas punta i riflettori sull’aggressivo piano idroelettrico nazionale
(Rinnovabili.it) – Puntare sulle risorse naturali per produrre energia pulita e fortificare la propria economia. Un piano ottimo sulla carta che sta tuttavia producendo risultati controversi nel Laos. Il piccolo paese del sudest asiatico è stato scosso in questi giorni da una tragedia: nella notte di lunedì, il cedimento di una diga, in costruzione nella provincia di Attapeu, ha liberato 5 milioni di metri cubi d’acqua, inondando 1.300 abitazioni nella zona. Oggi si contano 19 morti accertati, centinaia di dispersi e almeno 6mila persone sfollate. L’incidente non ha potuto fare a meno di accendere i riflettori sulla politica energetica nazionale, dove l’idroelettrico svolge il ruolo principale.
Conosciuto anche come la “Batteria dell’Asia”, il Laos ha da tempo deciso di scommettere sul proprio vasto sistema fluviale per divenire un hub energetico della regione. Gli obiettivi sono ambiziosi: il Paese vuole portare il numero di centrali elettriche dall’attuale 46 a 100 entro il 2020, per una capacità installata totale di 28 GW. La maggior parte dell’energia (circa l’85%) viene esportata a paesi limitrofi: Vietnam, Cambogia, Cina e soprattutto Tailandia, i cui mega centri commerciali di Bangkok assorbono da soli enormi fette di produzione.
>>Leggi anche Cresce il mini idroelettrico nel mondo ma non le leggi<<
A fronte di un export così importante, ci si aspetterebbe un sistema nazionale efficiente. In realtà anche se quasi il 90 per cento degli abitanti ha accesso all’elettricità, l’offerta può essere irregolare, soprattutto nelle zone rurali. “Anche se l’energia potrebbe essere abbastanza per alimentare tutte le abitazioni, non raggiunge tutte le case, quindi c’è una lacuna, per lo meno in termini di accesso”, spiega Vanessa Lamb, docente di geografia presso l’Università di Melbourne. E a differenza di altri paesi, i residenti non ricevono una percentuale del denaro guadagnato dalla vendita di energia all’estero. Al contrario per ora subiscono solo gli effetti negativi di questa sfrenata costruzione: gli abitanti vengono abitualmente re-insediati per far posto a centrali e dighe idroelettriche. Diversi analisti temono che i progetti pianificati lungo il fragile bacino del Mekong devasteranno le popolazioni ittiche, danneggeranno l’agricoltura e il turismo locale, minacciando il sostentamento di 65 milioni di persone che si affidano al fiume per reddito e cibo.
Chi ci guadagna? In teoria il governo, vendendo l’elettricità ai Paesi confinanti, ma le cifre rimangono opache. La Banca Mondiale sostiene che gli investimenti nel settore non siano all’altezza di quanto alla fine confluisce nel bilancio nazionale. Molti contratti stabiliscono che le centrali idroelettriche – spesso costruite e gestite da aziende straniere – vengano affidate al governo solo dopo 20 o 30 anni, spostando molto in là nel tempo i veri introiti.
>>Leggi anche Il business dell’idroelettrico fa male all’ambiente<<