(Rinnovabili.it) – Un movimento contro le grandi dighe sta bloccando lo sviluppo dell’impianto idroelettrico più grande dell’India, nonostante la decisione governativa di andare avanti a testa bassa.
La storia della diga sul Dibang comincia sei anni fa, quando l’ex primo ministro indiano Mahmoan Singh ha posto la prima pietra. Una infrastruttura da 3000 MW che avrebbe attraversato il corso d’acqua nell’Arunachal Pradesh, Stato all’estremo nordest del Paese. Sarebbe stata la più grande di tutta l’India, parte di un piano governativo che prevedeva la costruzione di 160 dighe negli anni a venire. L’impianto del Dibang non avrebbe soltanto generato elettricità, ma avrebbe svolto anche il ruolo di argine per evitare le massicce inondazioni nell’adiacente Stato dell’Assam. Il bacino artificiale, tuttavia, avrebbe sommerso 5 mila ettari di foresta lungo la valle del Dibang. Un fatto che non andava a genio al comitato consultivo sulla foresta (FAC), che dopo aver esaminato l’impatto dell’infrastruttura sulle aree naturali, ha rigettato il progetto.
Anche perché la valutazione di impatto ambientale assomigliava più ad una farsa. Chi ha redatto il documento è stato ferocemente criticato per non aver affatto stimato correttamente le ricadute ambientali dell’impianto. Gli autori hanno fatto una lista di creature mai esistite in quell’area, tipo il caprone himalaiano o altre specie inventate e inesistenti in qualsiasi altra parte del mondo, come il bucero dai piedi bruni. Di quelle che davvero popolavano quei luoghi, invece hanno sbagliato a scrivere i nomi: il Pigliamosche è diventato Piglia Mosche, mentre un errore intraducibile ha falsato nome del piccione con la coda a ventaglio.
Anche l’impatto sociale ha fatto sgranare gli occhi: per i redattori della VIA soltanto 301 persone sarebbero state toccate dalla diga. Le autorità saranno rimaste sorprese vedendo poi un numero di indiani ben più grande opporsi alla costruzione dell’infrastruttura. Le proteste locali sono iniziate infatti già nel 2008. Nel 2011 sono state ferite 10 persone dalla polizia durante gli scontri, e il governo regionale ha bollato i riottosi cittadini come ribelli maoisti. Ma si tratta di persone preoccupate della scomparsa di vaste aree agricole e della pericolosità di un simile impianto in una zona altamente sismica.
La grande opera è stata talmente avversata che il governatore dell’Assam, Tarun Godoi, ha chiesto al premier indiano Narendra Modi di essere consultato prima di procedere con lavori impattanti sul territorio. Lo Stato dell’Aurunchal Pradesh, anch’esso interessato dal progetto, ha proposto di abbassare la diga da 288 a 278 metri, ma nell’aprile di quest’anno il FAC ha rigettato anche questa proposta. Tuttavia, le istanze del comitato e degli attivisti non vengono minimamente prese in considerazione dal governo. Il primo ministro, in campagna elettorale aveva promesso che il suo esecutivo avrebbe optato per un idroelettrico di piccola scala, alimentato a energia solare. Sembra che in sei mesi abbia radicalmente cambiato idea.
Adesso dovrà fare i conti con una opposizione locale che è diventata un vero e proprio movimento nazionale contro le grandi opere, il più grande nella storia dell’idroelettrico indiano. La forza di tali movimenti è spesso sottovalutata, ma è sempre più chiaro che quando sono così determinati non è facile per nessun governo forzare la mano.