Funzionamento e problemi degli Enhanced Geothermal Systems
(Rinnovabili.it) – I sistemi geotermici migliorati o avanzati (Enhanced geothermal systems – EGS) rappresentano la nuova frontiera per l’impiego del calore sotterraneo ai fini elettrici. A differenza delle prime generazioni di impianti ad alta entalpia che sfruttano risorse ad alta temperatura “vicine” alla superficie, le centrali ESG si affidano in rocce calde e secche poste in profondità nel sottosuolo. In questo caso acqua fredda viene iniettata fino alla formazione rocciosa, viaggia attraverso le fratture (espanse attraverso il fracking) e si riscalda. Quindi i pozzi di produzione pompano nuovamente l’acqua in superficie per trasformare la sua energia termica in elettricità.
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L’approccio, tuttavia, non è privo di problemi. Mettendo momentaneamente da parte le preoccupazioni per il rischio sismico legato alla fratturazione idraulica, per i sistemi geotermici migliorati esiste l’eventualità di andare incontro ad una sorta di “cortocircuiti“. Lì, dove le fratture della roccia sono più ampie, è possibile che grandi volumi di acqua si spostino troppo rapidamente per esser scaldati a sufficienza. Una volta tornato in superficie, quindi, il liquido di produzione sarà più freddo e avrà un impatto diretto sull’efficienza della centrale elettrica. Compromettendo in alcuni casi l’intera economia del progetto.
Regolazione automatica della conduttività per i sistemi geotermici migliorati
Come evitare tutto ciò? In aiuto arriva nuova tecnica proposta dagli scienziati della Pennsylvania State University, negli Stati Uniti. Utilizzando tecniche di modellazione, il team ha scoperto come distribuire il flusso in modo più uniforme attraverso il serbatoio per spostare una maggiore quantità di calore dalle rocce ai pozzi di produzione.
Nel dettaglio ha proposto di aggiungere al liquido pompato nel serbatoio alcune sostanze chimiche capaci di cambiare le proprie proprietà con la temperatura. Il compito di questi materiali sarebbe quello di ostacolare il passaggio dell’acqua fredda, rilasciandola solo quando sufficientemente calda.
Il processo – spiegano i ricercatori – potrebbe aumentare l’estrazione di calore cumulato in un sistema geotermico migliorato di oltre il 65% in 50 anni di produzione. “La percezione pubblica dell’energia geotermica è che, poiché è rinnovabile, dovremmo essere in grado di produrre da queste risorse all’infinito”, ha affermato l’autore Arash Dahi Taleghani, professore di ingegneria petrolifera alla Penn State. “In pratica non funziona così. Qui abbiamo proposto una soluzione che potrebbe aiutare a superare una grande sfida“.
Il team ha sviluppato un caso sul campo mappando le reti di fratture da un affioramento roccioso nel Parco nazionale degli Arches nello Utah. Lo studio ha mostrato che applicando la loro tecnica a questa geologia si potrebbe ottenere un’estrazione di calore extra del 101% in 50 anni di attività geotermica. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Energy (testo in inglese).