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Geotermia profonda, le potenzialità degli scambiatori DCHE

Dalla ricerca italiana un nuovo studio che quantifica l’energia termica estraibile dal sottosuolo attraverso la tecnologia del geoscambio profondo a circuito chiuso

Geotermia profonda
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Geotermia profonda a circuito chiuso per una nuova sostenibilità

(Rinnovabili.it) – Nel settore della geotermia profonda si sta facendo lentamente spazio una nuova generazione di sistemi “a circuito chiuso“. Impianti avanzati ma ancora tutti da studiare, per fornire elettricità e calore minimizzando l’impatto ambientale. E recuperando vecchi pozzi di idrocarburi abbandonati. Parliamo del geoscambio profondo a circuito chiuso (DCHE – Deep Closed-loop Heat Exchanger), tecnologia in cui i fluidi non vengono introdotti o estratti dalla Terra ma fatti passare in un circuito artificiale composto da tubature e pozzi sigillati.

Nel dettaglio un sistema DCHE è costituito da due pozzi verticali – uno di iniezione e uno di produzione – collegati da una sezione orizzontale in profondità e da una tubazione isolata in superficie. Poiché il circuito è chiuso, il fluido primario freddo scende da un lato, si scalda nel tragitto orizzontale e risale dall’altro, creando una sorta di effetto “termosifone”. Quindi cede il proprio calore ad uno scambiatore posto presso l’impianto geotermico.

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Un’opzione promettente per la produzione di calore ed elettricità ma che necessita di nuovi studi ed approfondimenti. Come quello elaborato da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Cnr, in collaborazione con il Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova. Il team ha indagato e cercato di ottimizzare le prestazioni termiche del geoscambio profondo a circuito chiuso, quantificando l’energia estraibile attraverso due casi studio in diversi contesti geologici dell’Italia. Con l’obiettivo ultimo di supportare l’uso sostenibile delle risorse geotermiche profonde e allegare la produzione a qualsiasi condizione geologica.

I risultati di una serie di simulazioni numeriche – spiega il CNR in una nota stampa – mostrano che la produzione di fluidi con temperature e portate sufficientemente elevate, indispensabili per applicazioni reali, è sostenibile. Inoltre, questo studio mostra chiaramente che, proprio come la pratica della rotazione delle colture nel settore agricolo mantiene o migliora la fertilità e la resa del suolo destinato alla coltivazione, la sostenibilità del sistema DCHE aumenta quando si utilizza una strategia di estrazione del calore fluttuante e periodica”. A lungo termine, scrivono gli autori nell’articolo pubblicato su ScienceDirect, i cicli di funzionamento intermittenti risultano più sostenibili di un’estrazione continua del calore, dal momento che riducono il raffreddamento delle formazioni rocciose sotterranee attorno allo scambiatore di calore.

Uno degli elementi clou di questa tecnologia è la possibilità di reimpiegare pozzi di idrocarburi profondi sterili o abbandonati; una soluzione che permetterebbe di abbassare ulteriormente l’impatto ambientale ma soprattutto di ridurre i costi della tecnologia, oggi ancora elevati.