Contenuto realizzato nell’ambito del progetto CNR 4 Elements
di Maurizio Polemio
La geotermia studia il calore proveniente dall’interno della Terra, il suo trasferimento e lo scambio di calore nel sottosuolo, focalizzandosi su ogni possibile risvolto applicativo in campo energetico. Il ricorso alla geotermia per l’utilizzo del calore terrestre a supporto di attività produttive ha in Italia una lunga e ineguagliata tradizione che nasce con la produzione di energia elettrica. Un forte impulso si è registrato negli ultimi decenni con lo sviluppo di tecnologie a basso costo per l’utilizzo della geotermia a bassa entalpia (GBE) per lo scambio di calore, valorizzando l’enorme capacità termica e la limitata variabilità della temperatura del sottosuolo. La geotermia a bassa entalpia prevede due tipologie di utilizzo: a ciclo aperto o a ciclo chiuso. È aperto se si utilizza l’acqua estratta dal sottosuolo, dove in genere viene reimmessa dopo lo scambio di calore. Nel sistema a circuito chiuso il fluido termovettore, che trasporta il calore ed è in genere acqua con o senza sostanze antigelo, circola all’interno di tubazioni, dette sonde geotermiche. Queste sonde sono installate nel sottosuolo, con una disposizione che può essere verticale o orizzontale ed è attraverso di esse che si scambia il calore.
Nonostante la GBE sia già la prima tra le fonti geotermiche in Europa, enormi potenzialità di ulteriore diffusione sono possibili ovunque.
La geotermia a bassa entalpia può offrire un rilevante contributo all’aumento della quota di energia rinnovabile utilizzata e del tasso globale di miglioramento dell’efficienza energetica, in coerenza con gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. Oltre a ciò, la GBE supporta trasversalmente altri obiettivi quali quelli connessi con la salvaguardia delle risorse naturali e lo sviluppo sostenibile degli ambienti urbani. Al contempo, la realizzazione di impianti GBE genera convenienza anche per gli utenti, in virtù delle economie di esercizio che ripagano rapidamente il maggiore costo di realizzazione dell’impianto. Malgrado le potenzialità che questa fonte di energia possiede, vi è però un lento e disomogeneo riscorso alla GBE dovuto ad un quadro normativo europeo tutt’altro che uniforme e che non fornisce garanzie sulla piena sostenibilità ambientale di nuovi impianti scevri da rischi. Per comprendere tali criticità è stata svolta una ricerca dal CNR IRPI e dalla Sezione “Studi e Documentazione a supporto dell’attività Legislativa” del Consiglio Regionale della Regione Puglia.
Una prima fase di ricerca documentale è stata condotta a scala globale, raccogliendo e analizzando il contenuto di 161 documenti (Figura 1), principalmente pubblicazioni, libri, rapporti tecnici di istituzioni qualificate, norme tecniche, disposizioni di legge o normative e linee guida, per ciascuno dei quali è stata redatta una scheda sintetica. Queste schede sono state strutturate per diventare un valido supporto alla redazione di normative o disposizioni tecniche da parte delle istituzioni competenti. Al contempo si sono rivelate estremamente utili a circoscrivere i principali rischi idro-geologici associabili alla realizzazione di impianti GBE in funzione delle peculiarità territoriali e dei vincoli normativi esistenti.
Il 70% dei documenti censiti è riferibile all’Europa grazie a iniziative, direttive e regolamenti dell’Unione e di alcuni paesi membri, nonché al non trascurabile dinamismo di nazioni extra UE quali la Svizzera. A fronte di indirizzi e obiettivi energetici della UE stabiliti in sede di programmazione generale, mancano a tutt’oggi criteri guida o prescrizioni tali da promuovere o imporre normative nazionali.
La normativa più completa rispetto alle condizioni ambientali considerate è probabilmente quella austriaca, il cui approccio però risulta complessivamente così tanto cautelativo da essere limitante. Diversamente, l’approccio più pragmatico, che agevola il compito sia delle autorità territorialmente competenti sia dei proponenti (utenti, professionisti e imprese), è quello francese, che condensa in una cartografia unitaria nazionale, dotata di dettaglio locale, tutte le prescrizioni e procedure. La cartografia si distingue per gli impianti GBE a ciclo aperto e chiuso e per diverse profondità, da 10 a 200 m. Ciascuna mappa distingue tre zone: nella zona verde e in quella arancione vigono procedure differenziate, più accurate e complesse nel secondo caso. Nella zona rossa gli impianti possono essere realizzati soltanto dopo l’esito positivo di una valutazione molto simile a quella italiana di impatto ambientale. La zonazione considera aspetti quali la franosità, la presenza di rocce evaporitiche, cavità, acquiferi artesiani, multilivello o comunicanti, nonché inquinamento ambientale.
Se vi sono nazioni con un quadro normativo unitario, altre hanno previsto scenari a scala regionale. In questo caso sono emersi, dal censimento fatto, alcuni lodevoli tentativi di prevenire le forti differenze locali mediante la redazione di linee guida nazionali, come ha fatto la Svizzera. Di converso, laddove questa cornice manchi, lo spettro delle differenze è ampio, come è risultato avvenire in Germania. In Italia l’assenza di una normativa nazionale realmente attuativa in materia di geotermia a bassa entalpia si riflette in un quadro eterogeneo e frammentato tra regioni e, in alcuni casi, tra province.
Da questo studio è emerso che lo strumento ideale per promuovere la diffusa realizzazione di impianti GBE nel rispetto della piena sostenibilità ambientale è “l’approccio francese” che prevede chiare e semplici cartografie tematiche in cui i criteri di zonazione siano comunque basati sulla conoscenza delle peculiarità territoriali e dei possibili fattori di particolare attenzione ambientale.
Nel merito dell’applicazione alla regione Puglia, le conoscenze territoriali sono state acquisite e ottimizzate con studi specifici che hanno considerato, oltre alle conoscenze pregresse, il censimento degli impianti GBE esistenti, nonché la realizzazione di specifiche campagne di monitoraggio in siti selezionati per la loro significatività geoambientale. Definito il quadro di conoscenze, è risultato possibile procedere alla stesura di cartografie tematiche di dettaglio, concettualmente articolate secondo un criterio cromatico che si ispira al modello francese, ma ne amplia le potenzialità sia in termini di criteri di attenzione considerati sia in termini di maggiore accuratezza nelle conoscenze del sottosuolo. La cartografia consente così di individuare i criteri tecnici e le procedure differenziate in base alla localizzazione dell’impianto GBE e alla sua tipologia chiusa o aperta.
Lo studio condotto ha quindi permesso di definire i criteri di attenzione più rilevanti per il territorio regionale che possano guidare le istituzioni, i professionisti, le imprese del settore e gli utenti interessati nel percorso di scelta e realizzazione degli impianti GBE, nel pieno rispetto degli equilibri ambientali e delle peculiarità territoriali.
di Maurizio Polemio, CNR-IRPI