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“Gas verde”: l’ultimo tentativo per tener in vita il motore a combustione

Il 'gas verde' non offre nessun vantaggio energetico o ecologico, scrive il professore Balzani "Si tratta semplicemente di un ulteriore ingannevole tentativo per mantenere in vita gli inefficienti e inquinanti motori a combustione".

 

gas verde

 

 

La transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, ineluttabile e già in atto, comporta grandi cambiamenti nei mezzi usati per la mobilità. I motori a combustione alimentati dai combustibili fossili generano sostanze inquinanti dannose per la salute e anidride carbonica responsabile del cambiamento climatico, mentre i motori elettrici, alimentati dall’elettricità generata dalle energie rinnovabili, non generano né sostanze inquinanti né anidride carbonica. Non solo: i motori elettrici sono da 3 a 4 volte più efficienti dei motori a combustione. Non meraviglia quindi il forte sviluppo dei veicoli elettrici. Un esempio è quanto accade in Cina: ogni cinque settimane vengono messi in strada 9.500 bus elettrici, un numero uguale a quello della intera flotta di bus di Londra.

 

In Italia, tuttavia, c’è chi vuol prendere altre strade. Negli ultimi tempi sono apparsi su alcuni giornali (ad esempio, Corriere della Sera, 2 aprile, pag. 35; Quotidiano Nazionale (QN), 8 aprile, p. 2) articoli riguardanti l’uso di miscele idrogeno-metano, a volte chiamate “idrometano”. Come riportato sul QN, Snam “Scommette sulle rinnovabili: saremo leader nel gas verde”, dove per gas verde si intende miscele idrogeno-metano. Secondo l’AD di Snam Marco Alverà, “il gas verde è la tipologia più nobile delle rinnovabili, costa meno e ce l’hai quando ti serve”.

 

Miscele di idrogeno e metano per alimentare veicoli sono già state studiate in passato senza successo. Ad esempio, dal “progetto MHyBus” finanziato dalla Commissione Europea. Il progetto Snam è diverso: prevede di usare idrogeno rinnovabile e metano rinnovabile. I vantaggi sarebbero da un lato gestire l’intermittenza delle fonti rinnovabili, convertendo l’eccesso di energia elettrica in idrogeno (“idrogeno rinnovabile”),che si può immagazzinare. Dall’altro, l’uso non di metano fossile, ma di biometano, spesso considerato combustibile “verde”. A prima vista quella di Snam può apparire una soluzione vincente, ma non lo è affatto per molti motivi.

 

(i). L’energia elettrica delle fonti rinnovabili può essere immagazzinata come energia chimica in batterie dalle quali si può estrarre senza problemi per alimentare motori elettrici. Anche l’idrogeno può essere riconvertito mediante fuel cell in energia elettrica per alimentare motori elettrici: è così che funzionano le attuali auto a idrogeno (ad esempio: Toyota Mirai). Nel progetto Snam l’idrogeno “rinnovabile” miscelato al biometano viene invece usato per alimentare motori a combustione. Non si capisce perché “sprecare” idrogeno in questo modo. Molto meglio usare idrogeno e biometano separatamente, rispettivamente in motori elettrici e a combustione.

 

(ii). L’idrogeno tende ad infragilire i metalli; dunque il suo uso come combustibile comporta l’impiego di motori costruiti ad hoc, oppure una durata inferiore del motore.

 

(iii). In linea generale, può essere utile ottenere biometano da prodotti di scarto, ma i prodotti di scarto sono in piccola quantità rispetto al consumo richiesto per una mobilità sostenibile. Ecco allora che il  biometano non viene ottenuto solo da scarti e rifiuti, ma dallo “sviluppo di una filiera agricolo/industriale per la produzione di biometano sia da matrice agricola, sia da rifiuti, come chiarisce la stessa Snam nel suo piano decennale. In altre parole, la produzione massiccia di biometano richiede l’impiego di coltivazioni agricole dedicate, in competizione con la produzione di cibo.

 

(iv). Usare coltivazioni agricole dedicate per la produzione di biometano (o, più in generale, biocombustibili) rappresenta anche uno spreco di energia solare: la filiera sole-fotovoltaico-auto elettrica ha un’efficienza di conversione della luce solare in energia meccanica più di 100 volte superiore della filiera sole-biomassa-biocarburante-auto tradizionale: in altre parole, con un solo ettaro di pannelli fv si ottiene la stessa energia meccanica generata da 100 ettari di biomassa. Si consideri inoltre che per produrre energia fotovoltaica non vi è nessuna necessità di coprire campi coltivabili, perché i pannelli fv si possono collocare  in aree già antropizzate.

 

(v). La produzione (senza contare la distribuzione e l’impiego) di biometano comporta perdite del prodotto in atmosfera. Il metano è un potente gas serra, decine di volte più potente dell’anidride carbonica. Per ogni milione di metri cubi di biometano prodotto, si stima che le perdite di metano presso gli impianti di produzione possono comportare emissioni climalteranti valutate in CO2eq pari a quelle generate dai trasporti della massa organica utile per produrlo per 50 km (BIOSURF 2017). Stima che cresce di 15 volte se non si adottano magazzini chiusi per il digestato.

 

In conclusione, appare evidente che il “gas verde” non offre nessun vantaggio né energetico né ecologico. Si tratta semplicemente di un ulteriore ingannevole tentativo per  mantenere in vita gli inefficienti e inquinanti motori a combustione e procrastinare così per un tempo il più lungo possibile il passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili.

 

 

di Vincenzo Balzani, professore emerito presso l’Università di Bologna