(Rinnovabili.it) – Alzi la mano chi vota per il fracking in Europa. Anzi no. La firma sul TTIP, il partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti, la Commissione ha intenzione di metterla senza consultare i cittadini dell’Unione. Le trattative proseguono da mesi in sordina, e coinvolgono politici e multinazionali europei e statunitensi. L’obiettivo è dar vita a un’area di libero scambio fra le due potenze, in grado di ridefinire il quadro geopolitico globale. Le grandi corporations su ciascuna sponda dell’Atlantico puntano ad ottenere dalla politica l’abbattimento delle barriere tariffarie e non tariffarie, che ne frenano inclinazione all’investimento. Il vero scoglio sono proprio queste ultime: non i dazi doganali – già piuttosto bassi e aggirabili grazie alle joint venture – ma le regole a tutela di beni comuni come l’ambiente, la salute, il lavoro, l’istruzione.
Il TTIP, che potrebbe andare in porto già a fine anno, prevede una “armonizzazione” degli standard di qualità dei due Paesi, così da facilitare lo scambio di merci. Dato che le regole più stringenti – come è noto – sono quelle europee, toccherebbe al Vecchio Continente rivederle al ribasso per adeguarle a quelle dell’altro contraente. Un contraente entro i cui confini circolano Ogm, carne di animali gonfiati con ormoni della crescita, polli lavati nel cloro, sostanze chimiche bandite in quasi tutti gli altri Paesi occidentali. E dove si trivella il terreno con la fratturazione idraulica in barba alle esigenze dell’ambiente e dei cittadini.
Il fracking, tecnica di estrazione dei combustibili fossili come petrolio, gas di scisto, tight gas (gas di sabbie compatte) e CBM (metano estratto dal carbone del sottosuolo), è diffusa in gran parte degli Stati Uniti: le compagnie impegnate in queste trivellazioni stanno operando – o hanno intenzione di farlo – in 31 Stati. I più bersagliati sono Pennsylvania, Ohio, West Virginia, Oklahoma e Texas. Il sistema è blandamente regolato: le industrie di gas e petrolio sono esentate dal rispetto delle 7 più importanti leggi sull’ambiente, tra cui il Safe Drinking Water Act, il Clean Air Act e il Clean Water Act.
Eppure crescono le evidenze a sostegno delle tesi che descrivono il fracking come tecnica potenzialmente responsabile di contaminazione delle falde acquifere, inquinamento di terre e aria e – secondo un recente studio – anche di terremoti.
In Europa
La situazione è delicata perché è impossibile mettere un divieto di fracking a livello europeo: l’Ue infatti non ha il potere di definire il mix energetico al posto degli Stati membri. Più la Russia chiuderà i rubinetti, più crescerà l’esigenza di guardare ad Ovest per acquistare il gas, e gli Stati Uniti sono pronti a inviare navi cisterna rifornite anche con il fracking. O peggio, a cercare punti di estrazione su questo versante dell’Oceano. La firma del Trattato porterebbe perciò inevitabilmente a un aumento delle esportazioni di LNG (Liquid Natural Gas) e ad un aumento delle pratiche di fratturazione idraulica.La crisi Ucraina e il TTIP potrebbero costituire una svolta nelle strategie di .approvvigionamento energetico dell’EuropaSebbene anche in alcuni Stati europei – Regno Unito, Polonia e Romania – le esplorazioni abbiano avuto inizio, Francia e Bulgaria hanno introdotto il divieto di fatturazione idraulica e altre Nazioni ne hanno temporaneamente fermato gli sviluppi. Le multinazionali cercano con forza di opporsi a queste decisioni, nel tentativo di trovare buchi legislativi in cui infilarsi per far saltare le barriere a tutela dell’ambiente e della popolazione.
L’impatto sul clima
Il processo di estrazione è ben più impattante di quello tradizionale in fatto di emissioni di CO2, ma non solo: altra energia – e relativa produzione di gas serra – verrebbe impiegata nella costruzione di infrastrutture per renderne possibile la trasformazione e il trasporto. Serviranno nuove reti di tubi, stazioni, impianti di liquefazione e rigassificazione. L’affare è grosso, molto grosso, e le corporations non vi rinunceranno facilmente. Oltretutto potranno sempre sventolare la bandiera ecologista, dato che l’IPCC considera lo sfruttamento del gas di scisto una «tecnologia ponte» per ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera, in attesa che modalità più “green” ne prendano il posto in futuro. Infatti lo shale gas, se si calcolano solo le emissioni che derivano dal suo consumo, inquina la metà rispetto ai combustibili fossili.
La legge del fracking
Il TTIP può provocare un aumento degli interventi di fratturazione del suolo e, grazie allo strumento dell’ISDS (Investor-State Dispute Settlement), costringere gli Sati che si oppongono a pagare risarcimenti milionari alle multinazionali. Le compagnie che difendono i propri investimenti potranno appellarsi – lo prevede il Trattato – a specifici tribunali internazionali qualora sentissero minacciate le proprie aspettative di profitto. Queste strutture non sono parte del normale sistema giudiziario, ma si occupano specificamente di dispute in materia di investimenti. I processi si svolgono a porte chiuse e non prevedono possibilità di appello. Le statistiche dicono che spesso queste corti danno ragione ai privati: solo il 42% dei verdetti ha premiato lo Stato. Nel 31% dei casi a sorridere è stata la multinazionale, mentre un altro 27% si è risolto con patteggiamenti che hanno comportato comunque esborsi o concessioni da parte del pubblico. La percentuale di successi (totali o parziali) ottenuti dalle compagnie rasenta quindi il 60%.
In definitiva, l’arbitrato internazionale ha l’effetto di calmierare la legislazione. Il risultato di trattati bilaterali come il TTIP è, tra gli altri, quello di innalzare l’impresa privata al livello del potere pubblico, con il rischio di veder prevalere sempre più spesso gli interessi di un soggetto su quelli di una società. Motivazioni economiche potrebbero imporsi su altre di ordine sociale e ambientale. I contribuenti potrebbero trovarsi costretti a pagare ammende alle multinazionali e contemporaneamente vedersi negati i diritti alla salute e all’ambiente.