L'esplorazione del bacino di In Salah (200 mila miliardi di metri cubi di shale gas) ha fatto infuriare mezzo Sahara, che non vuole il fracking e contesta il governo
(Rinnovabili.it) Primo stop al fracking in Algeria. Le proteste nel sud del paese rallentano la corsa allo shale gas del colosso dell’energia maghrebino, appena un mese dopo l’avvio delle trivellazioni a In Salah. La decisione di congelare i lavori sarebbe stata presa dal presidente Bouteflika in persona. A darne l’annuncio all’autorevole quotidiano El Watan è Abdelhamid Slimani, membro del comitato di coordinamento delle proteste che agitano ormai da 20 giorni gli abitanti del Sahara algerino. La conferma definitiva è attesa entro la fine della settimana per voce del capo della Direzione generale di sicurezza nazionale Abdelghani Hamel, che ha condotto le trattative con i manifestanti.
Il coinvolgimento di Hamel nelle vicende di In Salah lascia intendere che il governo ritiene questo dossier particolarmente delicato. Hamel infatti siede al vertice della polizia e non di un gabinetto ministeriale, e può essere considerato un valido esponente del “Pouvoir” per il suo passato militare.
D’altronde la posta in gioco è alta, da qualsiasi angolazione la si consideri. Da un lato lo sfruttamento delle energie non convenzionali, che darebbero respiro all’economia algerina colpita dal crollo verticale del prezzo del petrolio. I pozzi di In Salah pescherebbero infatti nel bacino dell’Ahnet, che secondo gli ingegneri della Sonatrach (l’azienda statale degli idrocarburi) conterrebbe almeno 200mila miliardi di metri cubi di gas, di cui il 10% sicuramente estraibili. Dall’altro lato le proteste dei cittadini, che si sono allargate a tutto il sud del paese e di recente hanno debuttato anche per le strade di Algeri. Le manifestazioni nella capitale sono avvenute in concomitanza con quelle contro le vignette di Charlie Hebdo, con cortei di migliaia di persone che hanno infranto il divieto decennale di pregare in pubblico: fatto inedito per l’Algeria almeno dalla fine della guerra civile nei primi anni 2000. Una congiuntura esplosiva che Fronte di Liberazione Nazionale ed esercito hanno preferito tenere sotto controllo senza calcare la mano.
Così Hamel domenica scorsa ha incontrato 22 rappresentanti del movimento di protesta all’aeroporto di In Salah. Il testa a testa si è concluso con un nulla di fatto, complice anche la confusione creata da esponenti del governo nei giorni immediatamente precedenti. Con un messaggio pubblicato sulla sua pagina facebook, il primo ministro Abdelmalek Sellal aveva dichiarato che l’esecutivo non ha mai dato alcuna autorizzazione allo sfruttamento del gas da scisto in Algeria. L’apparente passo indietro è stato smentito poco dopo dal ministro dell’Energia Youcef Yousfi, che intervistato da Ennahar Tv ha dichiarato: “Non abbiamo altra scelta se non esplorare nuove risorse energetiche. L’Algeria non può contare in eterno sui due bacini di Hassi Messaoud e Hassi R’mel”. Fermando sul nascere il moltiplicarsi di dichiarazioni contrastanti, Bouteflika ha quindi optato per una soluzione drastica.
Quanto questa scelta possa essere degna di fiducia, però, lo si scoprirà solo nei prossimi mesi. È fuor di discussione che il comparto energetico algerino, che costituisce il 95% delle entrate dello Stato, attiri l’interesse degli investitori stranieri e sia assolutamente decisivo per le finanze e la stabilità dell’Algeria.