La relazione tra uso del suolo e impianti rinnovabili è sempre stata complessa. Ma con l’avvento della nuova direttiva europea RED III e l’esigenza di individuare aree di accelerazioni per l’energia pulita, i Paesi sono oggi chiamati a “mappare” il proprio territorio definendo nuovi paletti o rimuovendone di vecchi.
Perché? Perché su tali superfici o zone verrebbero garantiti tempi burocratici ridotti e meno vincoli. Ben inteso: la normativa comunitaria chiede esplicitamente per le aree di accelerazione di dare priorità alle superfici artificiali ed edificate. Come i tetti e le facciate degli edifici, le infrastrutture di trasporto o i siti industriali. Nella lista possono rientrare anche i terreni degradati non utilizzabili per attività agricole. Tuttavia le aree urbane e industriali da sole non possono soddisfare tutte le esigenze della transizione energetica.
Tali considerazioni hanno destato nuove preoccupazioni sul consumo di suolo da parte delle rinnovabili. Ma sono preoccupazioni fondate? Implementando tutta la capacità energica verde di cui l’Europa ha bisogno per la sua decarbonizzazione, di quanta terra avremmo bisogno?
A rispondere è oggi un nuovo studio dell’European Environmental Bureau (EEB) che chiarisce i requisiti spaziali per raggiungere il 100% di energia green in Europa in maniera sostenibile.
Per iniziare bisogna scindere due concetti importanti: il “territorio minimo necessario” e il “territorio idoneo“. Secondo il Centro comune di ricerca (JRC) della Commissione UE, il 5,2% del territorio dell’Unione può essere considerato “idoneo” ad ospitare progetti solari ed eolici a terra sulla base di rigorosi criteri agricoli, ambientali e tecnici. La valutazione del JRC esclude a priori le aree naturali protette e i terreni agricoli di alto valore. Solo i terreni arabili e i sistemi misti di colture e bestiame con erosione avanzata, bassa produttività e alto rischio di abbandono sono stati selezionati come idonei.
Stando ai calcoli dell’EBB però meno della metà di questa superficie idonea sarà necessaria per gli attuali e futuri progetti. Per la precisione il rapporto stima un 2,2% minimo necessario agli impianti rinnovabili.
“Le energie rinnovabili possono prosperare senza danneggiare le scorte alimentari o gli habitat naturali”, spiega Cosimo Tansini, responsabile delle politiche per le energie rinnovabili presso l’EBB. “Le prove suggeriscono che l’Europa ha ampi terreni per un’espansione sostenibile delle energie rinnovabili, escludendo le zone ricche di biodiversità e i terreni agricoli produttivi, in particolare nelle regioni rurali. Adottando processi partecipativi e solide misure di mitigazione per ridurre al minimo gli impatti ambientali, possiamo utilizzare le rinnovabili per ripristinare i terreni, apportare benefici alle comunità e supportare le economie rurali”.
Partendo dall’analisi del JRC, l’EBB ha valutato l’attuale utilizzo del territorio e le tipologie di copertura sulla base dei set di dati disponibili e dei documenti UE. Stimando la superficie necessaria per ospitare una capacità rinnovabile sufficiente a soddisfare gli obiettivi di uno scenario compatibile con l’Accordo di Parigi (PAC). Vale a dire 100% di energia verde in tutti i settori e la neutralità climatica entro il 2040.
Ovviamente ogni paese ha una storia a sé. Nello scenario PAC, l’Italia dovrebbe raggiungere entro il 2040 un sistema basato al 100% su fonti rinnovabili, dominato dalla capacità di generazione del solare fotovoltaico (228 GW, di cui 78 GW a terra) e dell’eolico onshore (39 GW). Per ospitare tali impianti, EBB ha stimato che il Belpaese avrebbe bisogno di circa l’1,7% della sua superficie totale entro il 2030 e del 2,7% entro il 2040. Entrando nel dettaglio il fotovoltaico sui tetti in Italia richiederebbe circa lo 0,25% della superficie del paese entro il 2040. Il resto quindi sarebbe destinato agli impianti montati a terra.
“Lo spazio necessario per il solare fotovoltaico a terra è 28 volte inferiore alla quota di terreni agricoli esposti a fenomeni di degrado elevato o molto elevato”, scrive l’associazione.