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Dalla cipolla innovative pellicole di protezione UV per celle solari

Studiate le proprietà di schermo UV della nanocellulosa tinta con estratto di buccia di cipolla rossa rispetto alle pellicole tradizionali in plastica fossile

Dalla cipolla innovative pellicole di protezione UV per celle solari
Foto di Väinö Anttalainen – Via Università di Turku

Nuove pellicole di protezione UV “bio” per celle fotovoltaiche

La maggior parte delle celle solari, in maniera diversa a seconda della tecnologia, sono sensibili all’esposizione prolungata agli ultravioletti. È quella che in gergo viene chiamata “degradazione indotta dai raggi UV“, fenomeno inevitabile ma gestibile attraverso pellicole di protezione UV.

In Finlandia un gruppo di ricercatori ha studiato come rendere questo componente più sostenibile ma ugualmente efficiente. Il segreto? Buccia di cipolla. Un nuova pellicola, realizzata in nanocellulosa e tinta con l’estratto della cipolla, può proteggere il fotovoltaico in silicio dal 99% delle radiazioni ultraviolette.

“Questi risultati – spiegano gli scienziati – sono rilevanti anche per la protezione di altri tipi di celle solari, tra cui la perovskite e il fotovoltaico organico, nonché per qualsiasi applicazione in cui l’uso di un filtro UV di origine biologica è fondamentale”.

Degradazione indotta dai raggi UV

La degradazione indotta dai raggi UV o UVID per usare l’acronimo inglese è un fenomeno visibile ad occhio nudo. Prima che venissero applicate strategie di contrasto era possibile assistere al forte ingiallimento dell’incapsulante dei moduli fotovoltaici causato dai raggi UV della luce solare.

Al di là dell’inconveniente estetico, questo fenomeno può compromettere gravemente le prestazioni del cella portando a perdite di efficienza nell’ordine del 15%. Senza strategie protettive, infatti, i fotoni ultravioletti (280–400 nm) possono penetrare in profondità (fino a 0,3 µm) fino al silicio e influire negativamente sulle prestazioni. Promuovendo anche altri meccanismi di degradazione attraverso l’indebolimento dell’incapsulante stesso.

I benefici delle pellicole di protezione UV

Beninteso: l’UVID rappresenta un problema risolvibile. Ad esempio attraverso strategie di riflessione o l’assorbimento della radiazione ultravioletta. É qui che entrano in gioco le pellicole di protezione UV. Di cosa si tratta? Di filtri per i fotoni UV progettati per applicazioni optoelettroniche: i fotoni con una lunghezza d’onda tra i 280–400 nm sono bloccati mentre il resto della luce può passare per raggiungere il semiconduttore.

La maggior parte dei prodotti sul mercato ha un’origine fossile. Le attuali pellicole anti-UV sono realizzate, infatti, in polivinilfluoruro (PVF) e polietilene tereftalato (PET).

A fornire un’opzione decisamente più sostenibile è oggi un gruppo di ricercatori dell’Università di Turku, in Finlandia, in collaborazione con i colleghi dell’Università di Aalto (Finlandia) e dell’Università di Wageningen (Paesi Bassi). Il team ha confrontato proprietà e durata di tre tipi di pellicole protettive “bio” realizzate in nanofibre di cellulosa e applicate celle DSSC a coloranti organici (le più sensibili all’UVID). 

Testati tre filtri a base di nanofibre di cellulosa

I tre film di nanocellulosa sono stati trattati rispettivamente con estratto di cipolla rossa, lignina e ioni di ferro. La prima si è dimostrata la più efficiente nel bloccare le radiazioni UV. Il filtro a base di nanocellulosa e buccia di cipolla ha bloccato il 99,9% delle raggi al di sotto di 400 nm, rivelando al contempo la più alta trasmittanza della luce (oltre 80% nell’intervallo 650-1100 nm). 

Non solo. Dopo 1000 ore di test di immersione luminosa, le celle solari con le nuove pellicole di protezione UV hanno presentato una decolorazione visiva minima, superando le prestazioni dei filtri commerciali in PET.

“Le pellicole di nanocellulosa trattate con colorante di cipolla rossa rappresentano un’opzione promettente nelle applicazioni in cui il materiale protettivo deve essere di origine biologica”, afferma il ricercatore di dottorato Rustem Nizamov dell’Università di Turku. 

In futuro, i ricercatori cercheranno di sviluppare tipologie di celle solari biodegradabili che possano essere utilizzate come fonti di energia per i sensori, ad esempio negli imballaggi alimentari. la ricerca è stata pubblicata sulla rivista ACS Applied Optical Materials.  

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.