“Made in China”. Tre parole che ormai si ritrovano impresse, con sempre maggior facilità, su etichette o prodotti in tutto il mondo, garanzia di acquisti a buon mercato per alcuni e indice di dubbia affidabilità per altri. Questa dicotomia non risparmia neppure il mercato internazionale del solare, che si trova oggi a fare i conti l’invasione della produzione cinese. Ma in un clima di crisi e ristagno economico, la scintilla della guerra commerciale non fatica ad accendersi. Lo hanno dimostrato gli Stati Uniti il cui Dipartimento del Commercio, sotto la pressione di alcune grandi aziende nazionali, a fine 2011 ha avviato un’indagine sulle esportazioni di celle e moduli della Repubblica Popolare con l’obiettivo di determinare se il Gigante asiatico avesse o meno attivato pratiche di concorrenza sleali e concesso incentivi troppo generosi alla propria industria. E lo ha dimostrato anche l’Europa il cui “caso commerciale” ha preso corpo all’inizio di settembre dopo la richiesta di 20 delle sue principali industrie pv di indagare sull’export cinese.
L’inchiesta anti-dumping avviata dalla Commissione UE ha creato due fronti opposti, al pari di quanto già avvenuto negli USA. Da una parte, infatti, sono schierati i produttori di moduli e celle occidentali, sempre più in affanno nel mantenere la necessaria competitività, dall’altra ci sono i fabbricanti di silicio e quanti paventano il pericolo di una guerra commerciale in grado di danneggiare la crescita economica proprio ora che l’equilibrio finanziario globale è così instabile. Per valutare gli interessi in gioco e fare chiarezza sulla questione abbiamo messo a confronto due esponenti di queste opposti partiti: Eu ProSun, la coalizione costituita dalle sopracitate industrie, che si sta muovendo contro il presunto dumping cinese, e Canadian Solar, società attiva nella produzione di lingotti, wafer, celle e moduli solari e membro di AFASE (Alliance For Affordable Solar Energy), che si schiera apertamente contro l’introduzione di dazi punitivi. Attraverso un’intervista doppia a Milan Nitzschke, Presidente di EuProSun e a Gregory E. Spanoudakis, President of European Operations di Canadian Solar abbiamo cercato di capire qual è l’umore del settore e, soprattutto, le ragioni di una scelta.
Misure tutelative nei confronti dell’export fotovoltaico cinese, perché sì?
Milan Nitzschke: Innanzitutto, voglio chiarire che strumenti di difesa commerciale non equivalgono a misure precauzionali. Si tratta bensì di misure volte a garantire il rispetto delle norme che regolamentano gli scambi commerciali a livello internazionale da parte dei produttori.
In questo senso le norme internazionali, stabilite dall’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio) e dall’Unione Europea, sono piuttosto chiare. Non sono consentite pratiche di dumping da parte dei produttori e sovvenzioni illegali da parte dei governi, che possono danneggiare le industrie di altri paesi.
Se le aziende intraprendono pratiche di dumping distruttivo e accettano sovvenzioni illegali da parte del governo, è necessario ricorrere a strumenti a difesa degli scambi commerciali per riequilibrare la competizione e garantire che tutte le società rispettino le regole, senza ottenere vantaggi in maniera sleale. Dopo che gli strumenti di difesa commerciale verranno introdotti, i prodotti cinesi continueranno ad essere venduti nell’Unione Europea, ma ad un prezzo equo. E’ ora compito della Commissione Europea investigare in maniera dettagliata e approfondita e stabilire quali sono i costi reali di produzione delle industrie cinesi e quale potrà essere un prezzo equo da attribuire ai prodotti che verranno venduti.
Misure tutelative nei confronti dell’export fotovoltaico cinese, perché no?
Gregory E. Spanoudakis: Eventuali misure protezionistiche avrebbero l’effetto di aumentare i prezzi degli impianti fotovoltaici e di conseguenza creerebbero una situazione in cui tutti sono perdenti su diversi fronti. Un aumento dei prezzi dovuto alle barriere commerciali non solo penalizzerebbe i consumatori e il bilancio dello Stato, ma metterebbe in moto un processo disastroso per la stessa industria europea del solare. Siccome la maggioranza dei posti di lavoro sono generati nel paese in cui l’impianto fotovoltaico è installato, eventuali dazi anti-dumping distruggerebbero migliaia di posti di lavoro a monte e a valle dell’intero settore.
Specialmente le piccole e medie imprese, come gli sviluppatori di progetto e le aziende di logistica, costruzione, installazione e manutenzione, sarebbero colpite dai dazi. Nella denuncia anti-dumping di SolarWorld e delle altre aziende si chiede un aumento dei prezzi del 120% per i moduli e i wafer e dell’80% per le celle. Quale azienda potrebbe sopravvivere ad un aumento di questo tipo? Uno studio indipendente realizzato da Prognos ha calcolato che circa 15.000 posti di lavoro sarebbero messi a rischio se fossero introdotti dazi anti-dumping in Europa.
Il low-cost asiatico sta raggiungendo sempre più settori commerciali. Quali crede siano in questo caso gli effetti diretti e indiretti dell’avanzata cinese nel mercato solare?
M.N.: I Paesi che possono beneficiare di costi di produzione bassi senz’altro riescono più di altri a trarre vantaggio da una produzione che richiede un elevato lavoro manuale. E‘ quindi più conveniente assemblare prodotti a basso contenuto tecnologico in Asia, dal momento che è più diffusa una forza lavoro non qualificata. I pannelli solari però rientrano nella categoria degli high-tech e pertanto la loro produzione ha bisogno di seguire standard elevati che garantiscano la loro durata per almeno 25 anni, spesso in situazioni climatiche particolari. Come in Unione Europea i produttori sono stati in grado di ridurre i costi di produzione del 10% circa del costo totale, i costi di produzione di pannelli fotovoltaici in Cina ed Europa sarebbero paragonabili se le industrie cinesi non avessero beneficiato di sovvenzioni sleali. Anche l’India, altro Paese con un costo del lavoro basso, sta pensando di intraprendere un’azione anti-dumping nei confronti dei produttori cinesi di energia solare, il che dimostra che non sono i costi bassi di produzione ma le pratiche di concorrenza sleale a rendere i prodotti cinesi così economici.
L’effetto diretto del dumping cinese e delle sovvenzioni governative consiste nel condurre il settore a pieno monopolio da parte della Cina. I produttori di tutto il mondo (USA, UE, India, Giappone, Corea del Sud) sono espulsi dal mercato uno dopo l‘altro. Il giorno in cui la Cina dovesse ottenere il monopolio, non ci sarà più concorrenza, nessun incentivo ad innovare e la concorrenza basata sui prezzi non sarà più in grado di assicurare l’accessibilità dei prodotti. L‘energia rinnovabile europea diventerà completamente dipendente dalle importazioni cinesi. Indirettamente il monopolio cinese sul solare e le altre tecnologie danneggerà lo sviluppo delle energie rinnovabili in Europa e nel mondo.
G.S.: Due fattori chiave per la determinazione del costo dei moduli solari sono il prezzo del polisilicio e l’efficienza dei processi di produzione. In entrambi i campi Canadian Solar è ben posizionata, anche grazie a impianti di produzione in Canada e – come molte altre aziende globali – in Cina. L’azienda beneficia, inoltre, di contratti per la fornitura del polisilicio molto vantaggiosi. Il prezzo è crollato da un picco di oltre 450 dollari al kg nel 2008 a circa 20 dollari al kg quest’anno. A fronte di questo, alcune aziende fotovoltaiche europee, vincolate a contratti di lungo termine, continuano a pagarlo almeno 60 dollari al kg, il che incide in maniera rilevante sul prezzo dei loro prodotti. Siamo anche annoverati tra le aziende leader in termini di efficienza energetica e qualità. Le economie di scala potenziano la nostra efficienza e quindi ci aiutano a realizzare i nostri prodotti a un costo più basso.
Produrre pannelli solari a un prezzo più conveniente contribuisce a un mix energetico europeo più bilanciato e al raggiungimento degli ambiziosi target europei al 2020. La diminuzione dei prezzi è stata prevista e addirittura richiesta dall’Unione Europea nel quadro della sua politica energetica che si fonda sulla grid parity.
Prezzi più convenienti riducono, inoltre, il bisogno di sussidi statali. Di conseguenza, aiuterebbero il Governo italiano a raggiungere più velocemente i suoi obiettivi in materia di politica energetica.
Quale sarà l’impatto sui consumatori europei se la Commissione si dovesse pronunciare a favore di misure antidumping?
G.S.: I consumatori europei sarebbero tra i primi a risentire delle barriere commerciali a causa dei prezzi sempre più alti dei pannelli solari. Di conseguenza sempre meno persone potrebbero installare pannelli solari sui tetti delle loro case e la transizione a una economia a basso contenuto di carbonio avverrebbe più lentamente.
Il nostro obiettivo primario resta realizzare prodotti a prezzi accessibili attraverso strutture di produzione efficienti e rendere sempre più conveniente l’energia solare per i consumatori italiani.
M.N.: Se verranno introdotte le misure di difesa commerciali richieste, i produttori europei potranno proseguire con la produzione e l’attività di ricerca. L’Unione Europea dispone dei miglior centri di ricerca in tutto il mondo, fondamentali per il contributo allo sviluppo rapido della tecnologia solare. I primi pannelli solari sono stati prodotti solo 30 anni fa e da allora la tecnologia è migliorata molto. I consumatori europei non hanno beneficiato solo di una migliore tecnologia ed efficienza dei pannelli solari, ma anche di una notevole diminuzione dei costi. Infatti, i prezzi europei dei prodotti fotovoltaici nel 2012 sono di circa il 60% in meno rispetto a 5 anni fa. Una sana competizione aiuta l’innovazione, l’accessibilità e, di conseguenza, giova al cliente. I consumatori europei trarranno maggior beneficio da una sana concorrenza internazionale, senza il rovinoso dumping e le sovvenzioni illegali cinesi.