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L’APER frena sulle aste per gli impianti FER

Secondo il Centro Studi, il sistema delle aste rappresenterebbe un freno per le nuove iniziative rinnovabili

(Rinnovabili.it) – Il meccanismo delle aste per gli impianti FER (introdotto dal dlgs 28/2011) è stato definito dall’APER una “doppia minaccia” – lo si legge nel comunicato diffuso dallo stesso Centro Studi in occasione della presentazione del loro documento “Le aste per l’incentivazione alle rinnovabili, possibili configurazioni e criticità del caso italiano”, presentato durante la giornata di ieri a Milano. In particolare, riferisce la nota, il sistema delle aste rappresenterebbe “da un lato il rallentamento, se non il freno, alle nuove iniziative rinnovabili; dall’altro la concentrazione del settore a causa delle difficoltà di accesso al credito delle iniziative soggette ad asta.

Tra le diverse problematiche analizzate, particolare attenzione è stata data ad esempio ai meccanismi di partecipazione delle aste: possono prendere infatti parte, da un lato i progetti FER provvisti di autorizzazione all’effettiva costruzione degli impianti ma, d’altra parte, l’asta viene permessa (in alcuni casi) anche a quei progetti privi di questa autorizzazione, con la conseguenza di far scaturire degli esiti inefficaci e di sostanziale inapplicabilità al contesto della produzione da FER in Italia. Infatti, nel caso in cui si consenta la partecipazione ai soli impianti autorizzati, di solito accade che i progetti non vincitori, senza alcun incentivo, non riescano ad entrare in esercizio e pertanto a recuperare i costi di permitting già sostenuti. Secondo l’Aper quindi, sono “numerosi profili di rischio, tra i quali l’esistenza di costi di sviluppo non recuperabili, la modifica delle condizioni al contorno e l’applicazione di penali, anche alla luce dei lunghi tempi che intercorrono tra l’autorizzazione alla costruzione dell’impianto, l’acquisizione del diritto all’incentivo e l’effettiva messa in esercizio”,  e quindi – conclude –  “il Governo dovrà tener conto delle basilari necessità del settore, finanziabilità e tutela della libera impresa, piuttosto che subire il fascino di un modello teorico che, all’atto pratico, già in altri Paesi ha dimostrato di non funzionare”.