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Impianti fotovoltaici su terreni agricoli

Il problema della convivenza tra agricoltura e fotovoltaico non esiste. Sarebbe utile invece “guidare” correttamente le scelte dei siti verso quei terreni spesso definiti agricoli solo catastalmente, come pietraie, pascoli, terreni marginali

fotovoltaico sul terreno agricolo
via depositphotos.com

di Ugo V. Rocca

(Rinnovabili.it)- Sono state presentate numerose osservazioni a difesa dei terreni agricoli oggi destinati ad impianti solari fotovoltaici, quindi con possibile danno alle attività agricole. Alcuni consiglieri 5 stelle della Regione Lazio hanno richiesto una “moratoria” per l’installazione dei pannelli a terra ed alcuni deputati di Forza Italia hanno segnalato la perdita ad oggi di ben 145 km quadrati (dato al 2019) per impianti fotovoltaici su terreni. 

Premesso che è assolutamente importante difendere i terreni agricoli di pregio o comunque utili per le attività agricole, occorre anche fortemente evidenziare la non fondatezza dell’allarme nella forma citata. 

Dati ufficiali ISTAT : 

  • SAT (Superficie Agricola Totale) in Italia : circa 17,4 milioni di ettari. 
  • SAU (Superficie Agricola Utilizzata) : circa 12,9 milioni di ettari.
  • Delta (SAT – SAU) : circa 4,5 milioni di ettari, una enormità, disponibili per il fotovoltaico che ne richiederà negli anni solo qualche percento.

Il fotovoltaico ad oggi (in oltre 40 anni) ha realizzato circa 21.000 MW, utilizzando circa 40.000 ettari di cui meno della metà su terreni agricoli (i citati 145 km quadrati, cioè 14.500 ettari) ed il resto su tetti di case, capannoni, pensiline o altro. Per raddoppiare al 2030 la potenza installata, possono servire nei prossimi 10 anni altri 40.000 ettari, cioè meno dell’ 1% del Delta tra SAT e SAU. 

Risulta assolutamente evidente che il problema della convivenza tra agricoltura e fotovoltaico non esiste; si tratta di una delle solite “fake news” artatamente messe in giro (da oltre 20 anni) per frenare le fonti rinnovabili e favorire il mantenimento del ricorso ai combustibili fossili. Sarebbe utile invece “guidare” correttamente le scelte dei siti verso quei terreni spesso definiti agricoli solo catastalmente, come pietraie, pascoli, terreni marginali ecc.

Non mancano purtroppo casi di impianti realizzati effettivamente su terreni utili per le attività agricole, a dimostrazione della necessità o opportunità che le Regioni diano seguito a quanto richiesto dalla normativa nazionale DM 10.09.2010, che richiede alle Regioni di indicare in maniera motivata aree e siti non idonei alla installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. Solo poche Regioni hanno dato seguito alla citata normativa, con il risultato che in alcune Regioni si sono moltiplicate le richieste di Autorizzazione Unica (con apprezzamento elevato dei terreni in locazione) mentre in altre Regioni le iniziative languono o vengono respinte in maniera poco convincente.

Occorre anche precisare che la direttiva Europea UE 2001/77/CE recepita in Italia tramite L. 387/2003, all’art.12, consente la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra su terreni agricoli, senza necessità di variante urbanistica, motivando tale scelta con la necessità di favorire l’introduzione delle fonti rinnovabili endogene in sostituzione del ricorso a combustibili fossili, inquinanti e di importazione, riconoscendo eccezionalmente alle energie rinnovabili parità di valorizzazione rispetto alle attività agricole. In tal senso si sono più volte pronunciati TAR e Consiglio di Stato, con sentenze che hanno confermato le richieste di realizzazioni in ambito agricolo.

Altro elemento che ha generato qualche confusione nelle normative regionali è costituito dall’errata interpretazione di un giustificato intervento della Agenzia delle Entrate che per limitare la possibilità di riconoscere come reddito agrario la produzione elettrica da un impianto aziendale ha imposto il limite del 10% all’uso di terreno agricolo aziendale. Tale limite in alcune Regioni è stato esteso genericamente, dalle iniziative di aziende agricole agli impianti su terreno agricolo, anche per impianti di proprietà di operatori non agricoli, addirittura quindi con l’effetto opposto di consentire di “consumare” il 10% di terreni agricoli di pregio.

 Nei casi dubbi, si dovrebbe operare come già avviene di consueto in alcune Regioni (p.e. Campania): si può richiedere l’esame pedologico del terreno LCC (Land Capability Classification) per verificare la qualità agricola del terreno. 

La poca chiarezza nella applicazione delle varie e diverse normative Regionali e la non giustificabile posizione assunta spesso acriticamente da alcuni Enti, in particolare Soprintendenze e Valutazioni paesaggistiche ed ambientali, hanno recentemente portato nel Decreto Semplificazioni ad un accentramento, per certi versi, delle decisioni Autorizzative a livello centrale, per poter garantire il raggiungimento degli obiettivi energetici fissati a livello nazionale e comunitario, superando le difficoltà spesso verificatesi a livello locale. 

Si tratta di una soluzione conseguenza della situazione confusa attuale, soluzione comunque da ritenere migliore di qualsiasi “moratoria” a danno delle energie rinnovabili e di fatto a favore del mantenimento del ricorso ai combustibili fossili, causa di notevole esborso monetario, di inquinamento e di eccessiva dipendenza energetica dall’estero. Ci si potrà comunque adoperare nel frattempo per ridare se del caso alle Regioni la gestione delle Autorizzazioni in un quadro più efficace e soddisfacente per tutti, operatori, Enti e cittadini, con regole chiare ed affidabili anche nelle tempistiche. La realizzazione di impianti a fonti rinnovabili ed in particolare il fotovoltaico non possono aspettare oltre, nell’interesse dei cittadini e della necessità di operare per il contenimento dei cambiamenti climatici.

di Ing. Ugo V. Rocca – RESIT  Srl