Nevicate e tecnologia solare non si escludono a vicenda. Lo afferma un ricercatore della Michigan Technological University che sta studiando la risposta dei moduli a differenti condizioni meteorologiche
(Rinnovabili.it) – Fino a ieri la tecnologia fotovoltaica era considerata off-limits, in termini di rendimento energetico, per le regioni più al nord del pianeta, soprattutto quelle interessate da climi rigidi e particolarmente nevosi. Non è così per un team di ricercatori statunitensi e canadesi che sta rivalutando il rapporto esistente tra la neve e celle solari, e dimostrando che le due cose non si escludono a vicenda.
Secondo gli scienziati della Michigan Technical University, anche se uno spesso strato di neve può causare un temporaneo blackout a causa dell’oscuramento dei pannelli, in molte regioni le nevicate si verificano in periodi precisi e la neve, anche in pieno, inverno non rimane sui pannelli a lungo. Gli scienziati hanno dimostrato anche che il fotovoltaico potrebbe addirittura beneficiare di un piccolo aiuto extra nel suo lavoro di raccolta dell’energia solare. “A volte la neve aiuta effettivamente le celle solari”, spiega il ricercatore Joshua Pearce riferendosi all’effetto albedo, ovvero l’effetto di riflessione della luce solare. Ciò può far sì che un pannello generi un quantitativo maggiore di elettricità nello stesso modo in cui gli sciatori hanno più possibilità di scottarsi nelle giornate soleggiate di inverno.
Pearce ha lavorato con ricercatori del St. Lawrence College e Università della Regina, a Kingston, Ontario per studiare l’effetto della neve su un campo solare di test completamente connesso alla rete e controllare così la produzione di oltre di 100 moduli fotovoltaici con diverse condizioni meteorologiche. Il team ha creato un modello informatico per prevedere di quanto si ridurrebbe la produzione di energia elettrica con differenti quantità di neve a copertura dei moduli solari montati in diverse angolazioni da piatti a spioventi. “Nella maggior parte dei casi le perdite di potenza sono risultate minime, anche in clima nevoso come quello del Canada”.