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Il fotovoltaico italiano invecchia, è tempo di revamping e repowering

L’età media degli 815.000 impianti fotovoltaici italiani è compresa tra gli 8-10 anni. Gran parte dei moduli ha iniziato a sentire i primi effetti del tempo

fotovoltaico italiano

Senza interventi di repowering e revamping nel 2030 si potrebbe perdere 5 GW di fotovoltaico italiano

 

(Rinnovabili.it) – L’Italia è stata uno dei Paesi pionieri dell’energia solare. Gli investimenti nel settore ci hanno permesso di divenire nel 2013 il primo Stato al mondo per contributo del fotovoltaico (7,9 per cento) nel mix elettrico nazionale. Dal 2014 però, a causa della fine del Conto Energia e dei tagli retroattivi agli incentivi, lo slancio iniziale si raffreddato: il belpaese ha tirato il freno a mano sulle nuove installazioni, cedendo il suo record alla Grecia.

Attualmente il fotovoltaico italiano cresce soprattutto grazie ai piccoli impianti domestici e commerciali, a un ritmo che rappresenta, però, un problema non da poco. L’essere stati tra i primi a sviluppare il potenziale dell’energia solare significa, infatti, anche dover far i conti con un parco impianti sempre più anziano. Nel quadriennio 2014-18 l’Italia ha allacciato circa 400 MW annui di fv, una cifra sufficiente solo a sostituire la capacità produttiva persa per l’invecchiamento dei moduli, senza risibili effetti sulla quota del mix elettrico.

 

Sebbene il decreto FER 1 possa concedere nuovo respiro alle grandi centrali, il futuro del fotovoltaico italiano si giocherà anche nel campo della manutenzione e dell’ammodernamento tecnologico. La questione è stata al centro del convegno “Il fotovoltaico italiano verso il 2030. Scenari per il rinnovamento e per i nuovi impianti”, organizzato da Althesys in occasione di Key Energy ed Ecomodo 2018. Secondo le analisi discusse durante l’evento, l’età media degli 815.000 impianti fotovoltaici italiani è compresa tra gli 8-10 anni. Ciò significa gran parte dei moduli ha iniziato a sentire i primi effetti del tempo, con una perdita media di produzione dell’1,6 per cento l’anno. La riduzione media si fa ancora più consistente (- 2,2 per cento) per gli impianti entrati in esercizio prima del 2011.

 

“Il decadimento reale rilevato – fa sapere Althesys – è superiore a quello teorico a causa di difetti e scarsa qualità di alcuni componenti, per inadeguatezze nella progettazione, costruzione, gestione o nel monitoraggio degli impianti […]  La nuova potenza (circa 400 MW/a) è appena sufficiente a sostituire quella che si perde con l’età: senza interventi di promozione degli investimenti, al 2030 la ‘perdita’ totale potrebbe arrivare a 5 GW, pari al 25 per cento circa della potenza esistente al 2018”. Questo significa non solo realizzare nuove centrali ma incentivare per quelle esistenti interventi di revamping – processo di manutenzione e/o “ristrutturazione” per rendere gli impianti più efficienti o per riportarli alle prestazioni iniziali – e di repowering – processo di modifica e/o sostituzione dei componenti per incrementarne la potenza nominale e la produzione annua (Leggi anche Nasce la Carta per rilanciare il fv italiano, benefici per 11mld).

 

Spiega Alessandro Marangoni, CEO di Althesys “Per avvicinarsi agli obiettivi al 2030 serve uno sforzo straordinario sia per preservare e usare meglio l’esistente che per realizzare nuovi impianti. Per fare interventi di revamping e repowering servono una semplificazione dei procedimenti autorizzativi, regole chiare per mantenimento degli incentivi sulle potenze originarie, modifiche alle normative e autorizzazioni locali per l’uso delle aree asservite e un coordinamento per adeguare la rete per ricevere la potenza incrementale […] Il decreto 2018-20 in fieri è una buona notizia, ma bisogna già guardare oltre”.