Raggiunta un’efficienza di conversione del 25,7% su una cella da 0,08 cm2
(Rinnovabili.it) – Anche il fotovoltaico in perovskite potrebbe beneficiare della tecnologia dei punti quantici. Negli ultimi anni queste speciali nanostrutture sono state ampiamente studiate come elemento per la produzione di celle solari efficienti e a basso costo. Il motivo? Le piccolissime particelle semiconduttrici di cui sono composti, possiedono band gap regolabili su diversi livelli di energia semplicemente cambiando le loro dimensioni. Al contrario, nel fotovoltaico tradizionale, il band gap è determinato esclusivamente dal materiale scelto come assorbitore.
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Ora un gruppo di scienziati ha deciso di applicare questa soluzione al fotovoltaico in perovskite con l’obiettivo di migliorarne efficienza e scalabilità.
Fotovoltaico in perovskite e quantum dots, i vantaggi
Uno degli ostacoli da risolvere per la commercializzazione del solare di ultima generazione è la progressiva perdita di stabilità operativa, curata in parte dallo strato di trasporto degli elettroni. Nelle celle solari a base di perovskite, questo strato è solitamente costituito da biossido di titanio mesoporoso. Peccato che il materiale mostri una bassa mobilità degli elettroni e sia anche suscettibile a eventi fotocatalitici avversi determinati dalla luce ultravioletta.
Il team, guidato dal professor Michael Grätzel dell’EPFL e dal dottor Dong Suk Kim del Korea Institute of Energy Research ha sostituito il biossido di titanio con un sottile strato di punti quantici in ossido di stagno, stabilizzati con acido poliacrilico. Il risultato? L’aggiunta dei quantum dots ha migliorato la capacità di cattura della luce, sopprimendo anche la ricombinazione non radiativa.
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Nel dettaglio, utilizzando lo strato di punti quantici, le piccole celle prodotte di (0,08 centimetri quadrati) hanno raggiunto un’efficienza di conversione record del 25,7 per cento (certificata 25,4 per cento) e un’elevata stabilità operativa. Aumentando la superficie cellulare a 1, 20 e 64 centimetri quadrati, l’efficienza è passata al 23,3, 21,7 e 20,6 per cento. I risultati sono stati pubblicati su Science (testo in inglese).