Un nuovo studio americano ha scoperto sia causa che soluzione al problema della degradazione ambientale delle celle solari in perovskite
(Rinnovabili.it) – Gli analisti di settore promettono che il fotovoltaico in perovskite sarà sul mercato molto presto ma, benché in pochissimi anni abbia compiuto miglioramenti stupefacenti, la tecnologia risente ancora di un problema non indifferente: le celle solari realizzate con questi cristalli si degradano progressivamente sotto la luce. Una fotosensibilità che non va ovviamente d’accordo con lo scopo stesso dei dispositivi fotovoltaici.
Un nuovo studio statunitense è però convinto di aver trovato sia la causa che una possibile soluzione al fenomeno di degradazione del fotovoltaico in perovskite.
Ci troviamo in Nuovo Messico. Qui un team di scienziati del Los Alamos National Laboratory ha scoperto che, dopo un danno, queste celle solari sono in grado di autorigenerarsi se poste al buio.
Più precisamente, la squadra – guida dal ricercatore Wanyi Nie – è riuscita a determinare che l’effetto di fotodegradazione del fotovoltaico in perovskite è un processo puramente elettronico e non chimico. Cosa vuol dire? Che non viene danneggiata la struttura della cella.
Attraverso la spettroscopia, il team ha potuto osservare come la luce solare inneschi l’attivazione di minuscole trappole nel cristallo che catturano i portatori di carica generati dai fotoni incidenti. Nel tempo questo si traduce in un accumulo progressivo delle cariche positive che va comprensibilmente a ridurre la corrente elettrica generata dal dispositivo.
Una volta compreso questo elemento per i ricercatori è stato facile capire come eliminare il problema. “Siamo in grado di stabilizzare le prestazioni del dispositivo con il controllo della temperatura ambiente”, spiega Nie nella relazione pubblicata su Nature Communications. “La degradazione dei dispositivi può essere soppressa semplicemente abbassando la temperatura di alcuni gradi”.
In altre parole i dispositivi possono auto-rigenerare la propria capacità semplicemente venendo lasciati al buio per un breve periodo. Lontani dal sole si raffreddano, rilasciando le cariche intrappolate e determinando in tal modo il recupero delle prestazioni iniziali. Il team ha anche scoperto che, essendo questi processi fortemente dipendenti dalla temperatura, il controllo della stessa in un range di poche decine di gradi permette sia di aggirare l’attivazione dei meccanismi foto-degradazione che di accelerare il processo di auto-guarigione.