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Fotovoltaico in perovskite, l’architettura invertita segna il record

efficienza fotovoltaico in perovskite
Credits: Dennis Schroeder / NREL By Dennis Schroeder / National Renewable Energy Laboratory – https://www.energy.gov/eere/solar/perovskite-solar-cells, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=131749994

Architettura invertita, vantaggi e svantaggi

(Rinnovabili.it) – Nel settore del fotovoltaico in perovskite si sta facendo rapidamente strada un nuovo design della cella. É quella che nel campo chiamano architettura invertita o architettura p-i-n. Di cosa si  tratta? Di un nuovo ordine strati di estrazione della carica depositati sul substrato, rispetto allo standard di settore. O più precisamente della loro completa inversione.

Nonostante l’architettura n-i-p sia quella più studiata e di maggior successo per le celle solari in perovskite, la sua “immagine riflessa” si sta facendo strada grazie ad una serie di vantaggi. A partire da processi di fabbricazione più semplici, dalla riduzione dell’input di energia in termini di interstrato e dalla sua elevata stabilità. Senza contare che il design invertito semplifica l’integrazione tandem con altre celle solari e apre le porte alla stampa roll-to-roll. Tuttavia presenta sfide ancora aperte, come una minore efficienza della conversione della luce in elettricità.

A far progredire questo lato della ricerca è oggi un gruppo di scienziati della Northwestern University, nell’Illinois. Come spiega la loro pubblicazione su Science, il team ha trovato un modo per alzare l’efficienza al 25,1%, nuovo record mondiale per la categoria. “La tecnologia solare della perovskite si sta muovendo rapidamente e l’enfasi della ricerca e dello sviluppo si sta spostando dall’assorbitore alle interfacce”, ha affermato il professore della Northwestern Ted Sargent. “Questo è il punto critico per migliorare ulteriormente l’efficienza e la stabilità”.

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Due nuove molecole per il fotovoltaico in perovskite

Anziché aiutare il fotovoltaico in perovskite ad assorbire più energia, Sargent e colleghi si sono focalizzati su come trattenere gli elettroni generati a livello dell’interfaccia con lo strato di trasporto. L’obiettivo era evitare due problemi: la possibile ricombinazione degli elettroni le loro buche e la ricombinazione superficiale con i difetti di superficie del materiale. Il team ha sviluppato due diverse molecole di passivazione, ognuna in grado di impedire una precisa ricombinazione: una molecola di metiltio modificata con zolfo ha fornito la passivazione chimica e una molecola di diammonio ha respinto le buche.

“Dobbiamo utilizzare una strategia più flessibile per risolvere il complesso problema dell’interfaccia”, ha affermato Cheng. “Non possiamo usare solo un tipo di molecola, come si faceva in precedenza. Usiamo due molecole per risolvere due tipi di ricombinazione, ma siamo sicuri che ci siano più tipi di ricombinazione correlata ai difetti all’interfaccia. Dobbiamo provare a usare più molecole assicurando che lavorino insieme senza distruggere le rispettive funzioni”. Il team ha ottenuto un efficienza del 25,1% per il suo fotovoltaico in perovskite ad architettura invertita, valore certificato dal NREL. Non solo. Le celle hanno funzionato stabilmente a 65°C per più di 2.000 ore.

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