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Fotovoltaico: la guerra commerciale USA-India verso l’epilogo

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(Rinnovabili.it) – Potrebbe concludersi con un patteggiamento la lunga disputa commerciale fra India e Stati Uniti intorno al tema degli investimenti nel fotovoltaico. Secondo fonti interne all’amministrazione Obama, l’India avrebbe chiesto una soluzione extragiudiziale dopo aver realizzato che l’organismo per la risoluzione delle controversie dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) le avrebbe dato torto.

Washington aveva intentato la causa tre anni fa, nel 2013, sostenendo che il programma indiano di sviluppo del fotovoltaico, la National Solar Mission (NSM), discriminasse illegalmente i pannelli solari importati e tutti i prodotti connessi.

Con la NSM il Paese intendeva aumentare la quota di energie rinnovabili nel mix energetico. Il 71% dei 255 GW prodotti entro i suoi confini, infatti, viene dal carbone. Solo 3 GW di energia elettrica vengono da energia solare e 20 GW da eolico. Stabilito nel 2010 come parte del piano d’azione nazionale dell’India sul cambiamento climatico, l’obiettivo ambizioso del programma è quello di generare 100 GW di elettricità l’anno da fotovoltaico entro il 2022.

 

Fotovoltaico la guerra commerciale USA-India verso l’epilogo 4La “colpa” dell’India è che garantisce l’accesso agli incentivi unicamente dietro garanzia, da parte degli sviluppatori, dell’utilizzato di componenti e apparecchiature prodotte in India. In questo modo, chi vuole investire sul territorio alimenta una industria locale poco sviluppata. Tutto ciò è contro le regole del commercio globale stabilite dalla WTO, secondo le quali i requisiti di contenuto locale (DCR – Domestic Content Requirements) rappresentano una distorsione del mercato piuttosto che una misura potenzialmente in grado di migliorare le condizioni economiche di un Paese.

L’amministrazione Obama era particolarmente preoccupata che i DCR venissero estesi fino ad includere la tecnologia a film sottile, settore nel quale il mercato indiano è fortemente dipendente dalle esportazioni americane. E così è stato: nel 2013, il film sottile è stato coperto da DCR. Una misura apparentemente legittima, ma Washington voleva che le sue aziende avessero la libertà di concorrere direttamente con i prodotti locali, schiacciandoli nella competizione e portando a casa la maggior quota di profitto possibile. Così, ha sostenuto che i requisiti di contenuto locale fissati dall’India sono una barriera commerciale per i prodotti realizzati in America.

La WTO ha ritardato due volte, nelle ultime settimane, l’annuncio pubblico della sentenza, che ora è attesa per mercoledì. I media indiani hanno riferito lo scorso agosto che il panel incaricato della risoluzione della controversia (DSB – Dispute Settlement Body) aveva confidenzialmente comunicato a Washington e New Delhi che si sarebbe pronunciato contro l’India.

 

La logica è che nessuno regala niente a nessuno nel commercio internazionale. Se la terza economia dell’Asia ha un problema cronico di blackout, scarso accesso all’energia e iperdipendenza dal carbone, lo deve risolvere senza obbligare gli investitori esteri a coinvolgere l’industria del posto. Per contro, questi ultimi possono venire a investire sul territorio altrui, a danno della filiera corta, senza restrizioni.

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