Greenpeace, Italia Solare, Legambiente e WWF scrivono al governo affinché individui criteri e misure che consentano di creare la giusta sinergia tra terreni coltivabili e produzione di energia solare
Fotovoltaico e agricoltura, tra criticità e opportunità
(Rinnovabili.it) – Il rapporto tra fotovoltaico e agricoltura è sempre stato conflittuale. Nel boom europeo di incentivi al solare, le installazioni a terra hanno spadroneggiato, sacrificando a volte grandi terreni coltivabili alla produzione energetica. Fino a quando non sono arrivate le prime critiche e dai generosi sussidi ai maxi impianti si è passati modelli di sviluppo più organizzati e nuove forme di integrazione fotovoltaica. Ma il conflitto è rimasto tale e senza norme adeguate la futura crescita dell’energia solare potrebbe scontrarsi con più di un problema.
A tornare sulla questione sono oggi Greenpeace, Italia Solare, Legambiente e WWF attraverso una lettera aperta al Governo. Nella missiva le quattro realtà spiegano come per raggiungere gli obiettivi del Piano italiano Energia clima 2030 saranno necessari almeno 32 GW di nuovo fotovoltaico. Una capacità che dovrà necessariamente trovare spazio anche tramite nuovi impianti a terra. I 32 GW solari, scrivono, “non possono oggettivamente essere realizzati in 10 anni solo su tetti e aree contaminate”. Occorre favorire in maniera decisa il revamping e repowering degli impianti esistenti ma anche creare le condizioni si possa creta un rapporto di reciproco vantaggio tra fotovoltaico e agricoltura.
Le firmatarie suggeriscono terreni che non presentino condizioni tali da consentire una redditizia attività agricola e non hanno caratteristiche di pregio sotto il profilo ambientale. “Il fotovoltaico – spiegano le associazioni – può benissimo affiancare le coltivazioni con il vantaggio, per l’agricoltore, di beneficiare di una entrata integrativa in grado di aiutare la sua attività agricola”.
Non solo. Come molti studi fanno oggi notare è possibile un compromesso tra produzione solare e alimentare, che nella maggior parte dei casi può trasformarsi in una vera e propria sinergia. A luglio dello scorso anno un team di scienziati dell’Università dell’Arizona ha dimostrato come la combinazione di pannelli solari e coltivazioni possa creare una relazione reciprocamente vantaggiosa. “In un sistema agro-fotovoltaico l‘ambiente sotto i moduli è molto più fresco in estate e più caldo in inverno”, hanno spiegato i ricercatori. Ciò riduce i tassi di evaporazione delle acque di irrigazione nei mesi estivi e lo stress per le piante che di conseguenza miglioreranno la loro capacità fotosintetica e cresceranno in maniera più efficiente. “In combinazione con il raffreddamento localizzato dei pannelli fotovoltaici derivante dalla traspirazione dal “sottobosco” vegetativo, che riduce lo stress termico sui pannelli e ne aumenta le prestazioni, stiamo scoprendo una situazione win-to-win per la relazione cibo-acqua-energia”.
Nuove norme per il fotovoltaico in agricoltura
Secondo i calcoli delle associazioni, considerando un ampio spazio tra le file dei moduli servirebbero 2 ettari per ogni MWp. Stimando che solo circa il 30 per cento della capacità 2030 potrà essere installato sui tetti, terreni industriali e suoli contaminati, serviranno circa 40-70 mila ettari circa di campi per raggiungere l’obiettivo. Parliamo dello 0,2-0,4% dei terreni coltivabili disponibili in Italia.
Ma perché ciò si realizzi sono necessari provvedimenti chiari e regolamenti ad hoc che supportino il giusto sviluppo, tutelando l’agricoltura. Le norme attuali, infatti, consentono di realizzare impianti in aree agricole senza alcuna limitazione generale o regolamentazione specifica, limitandosi soltanto a non consentire a questi impianti l’accesso alle aste e agli incentivi. “Il risultato pratico – spiegano le associazioni – è lo sviluppo di impianti su aree agricole, senza veri progetti di integrazione e di valorizzazione, aumentando sì i ricavi degli investitori, ma aumentando anche il rischio che si generi malcontento sul territorio, alimentando la ‘sindrome Nimby’. Questa situazione porta spesso gli enti locali ad adottare moratorie estemporanee o provvedimenti di dubbia costituzionalità”
La prima mossa dovrebbe essere quella di individuare parametri oggettivi, ragionevoli e subito disponibili per non rallentare lo sviluppo del fotovoltaico sostenendo nel contempo l’agricoltura. In quest’ottica, sottolineano, è fondamentale che nella legge di delegazione europea sia modificata la parte dove si parla della necessità di individuare: “… una disciplina per la definizione delle superfici e aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili …, privilegiando l’utilizzo di superficie di strutture edificate e aree non utilizzabili per altri scopi”, che andrebbe sostituita con “e, aree non utilizzabili per altri scopi, terreni non coltivati privi di pregio ambientale e la combinazione di fotovoltaico e attività agricole, e definendo le condizioni per l’installazione di impianti fotovoltaici in area agricola”.
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