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Solare e dazi anti-dumping: ricomincia la guerra Cina-UE?

fotovoltaico e dazi antidumping

 

(Rinnovabili.it) – Sembrava completamente terminato lo scontro tra Bruxelles e Pechino sulle pratiche di commercio illegale cinese nel mercato fotovoltaico. E invece l’accordo raggiunto dalle due potenze sui moduli solari “made in China” potrebbe essere nuovamente a rischio. A farlo sapere è proprio la Commissione Europea con la decisione di negare a tre produttori della Repubblica Popolare il libero accesso al mercato europeo. Il motivo? Presunte violazioni delle condizioni di export sui cui UE e Cina si erano accordate in passato per risolvere la questione dei dazi anti-dumping. Le tre aziende – Canadian Solar, ReneSola e ET Solar –hanno ora tempo fino al 20 marzo per presentare osservazioni scritte all’Esecutivo UE e richiedere un’eventuale udienza. La Commissione dovrebbe quindi prendere una decisione definitiva tra fine aprile l’inizio di maggio.

 

La guerra solare sembrerebbe pertanto ben lungi dalla conclusione. L’Unione europea aveva formalmente concluso l’indagine sulle presunte misure di dumping e gli aiuti statali illegali per i produttori di moduli solari cinesi nel 2013, avviata dopo le richieste avanzate dai produttori europei; l’accusa era quella che il “made in China” usufruisse di sussidi governativi impropri per esportare sotto costo i pannelli solari nell’Unione Europea, una svendita che ha permesso al gigante asiatico di arrivare a coprire una fetta di mercato tra il 2009 e il 2011 pari all’80%.

 

La situazione si risolse allora con un accordo, atto a rimuovere i dazi punitivi sui prodotti cinesi in entrata dopo aver stabilito di comune accordo un prezzo minimo limite e un preciso volume di export. Secondo quanto affermato dall’esecutivo europeo le tre società su 121 aziende monitorate, sono state le uniche ad aver  infranto l’accordo. La Commissione ha anche messo puntato il dito contro l’impiego da parte delle tre di produttori di apparecchiature originali (OEM) che assemblino i moduli fuori dai confini cinesi utilizzando celle di un paese terzo e rendendo di fatto impossibile il corretto monitoraggio della filiera.

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