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Fotovoltaico: scoperte celle solari “zombie” con alte efficienze

 

Fotovoltaico: scoperte celle solari "zombie" con alte efficienze

 

(Rinnovabili.it) – Le hanno chiamate celle solari “zombie” perché sono ancora perfettamente funzionanti quando in realtà dovrebbero essere chimicamente “morte”. Stiamo parlando dell’inaspettata scoperta fatta da alcuni ricercatori dell’Università di Uppsala, in Svezia. Lo scienziato Gerrit Boschloo e il suo team hanno portato alla luce un aspetto sconosciuto delle vecchie celle di Gratzel, le celle solari a base di colorante organico: continuano a generare energia elettrica con inaspettata efficacia anche se l’elettrolita si è completamente asciugato. “Le celle solari ‘secche’ lavorano a volte addirittura meglio di quando era presente il liquido. In alcuni casi l’efficienza di conversione è aumentata ad 8 per cento, che è un record per le celle celle foto-sensibilizzate a stato solido (“solid-state dye-sensitized solar cells” o ssDSC)”, spiega  Boschloo.

 

Le ssDSC sono un tipo di fotovoltaico organico in cui l’elettrolita liquido è sostituito da materiali conduttori di lacune elettroniche. Tuttavia, questo si verifica solo con alcune coppie redox a base di rame. Come spiega lo stesso Boschloo le ssDSC sono già state sviluppate in passato ma l’elevata efficienza di questa “celle zombie” ha preso i ricercatori di sorpresa.

 

Per garantire il risultato, il progetto è stato ripetuto in condizioni controllate. “Ma si è rivelato essere molto difficile produrre la cella nel modo solito con cui si producono quelle a stato solido. L’opzione migliore è quella di fare un dispositivo a base liquida e quindi far asciugare l’elettrolita lentamente per ottenere la giusta struttura”. Il vantaggio di riuscire ad eliminare il liquido è quello di avere in cambio un dispositivo più stabile. Quando la cella solare è in uno stato solido, è molto più facile e meno costosa da sigillare. Questo riduce il rischio di perdite e corrosione del materiale circostante. I risultati dei test di laboratorio hanno soddisfatto i ricercatori che spiegano però: “Abbiamo ora bisogno di testarle all’aperto, per un lungo periodo di tempo, per vedere se funzionano anche in queste condizioni”.

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