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Fattore di bifaccialità vicino al 100% per il FV in perovskite 

L'impiego di nanotubi di carbonio a parete singola come elettrodi può portare a celle solari in perovskite con un fattore di bifaccialità superiore al 98% e una densità di generazione di energia superiore al 36%

Fattore di bifaccialità
Impianto con moduli bifacciali vicino a Donaueschingen, Germania. By Tobi Kellner – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=126339217

Riflettori puntati sul fattore di bifaccialità

(Rinnovabili.it) – Il silicio cristallino domina ancora incontrastato il fotovoltaico bifacciale commerciale. Ma un altro materiale si sta affacciando nel settore e con buoni risultati: la perovskite. Nonostante le ricerche in questa direzione siano all’inizio, i vantaggi delle celle solari bifacciali in perovskite sono apparse fin da subito chiare. Hanno costi ridotti, funzionano meglio del Si in condizioni di luce a bassa intensità e soprattutto possono raggiungere un elevato “fattore di bifaccialità“. Di cosa si tratta? Del valore che indica quanto una determinata tipologia fv possa adattarsi a questa applicazione.

Per la precisione il fattore di bifaccialità (BiFi) misura il rapporto tra l’efficienza di conversione sul lato posteriore e quella del lato anteriore. Ad esempio un BiFi dell’85 per cento indica che la faccia posteriore può generare l’85 per cento della potenza della faccia anteriore. Per le celle fotovoltaiche in perovskite è stato già dimostrato un fattore di bifaccialità di circa 94 per cento, superiore anche a quello del silicio.

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Se sulla carta i vantaggi delle celle solari bifacciali in perovskite appaiono abbastanza convincenti, nella realtà esiste un grosso problema tecnico che ne frena l’efficienza e di conseguenza la diffusione commerciale. Parliamo della trasmittanza ottica degli elettrodi metallici posteriori che risulta inadeguata per il compito; a ciò si associa anche il complesso processo di fabbricazione per gli ossidi conduttivi trasparenti sulla faccia anteriore.

Nanotubi di carboni come elettrodi

A prendere “due piccioni con una fava” è oggi un nutrito gruppo di scienziati appartenenti all’Università del Surrey, all’Università di Cambridge, all’Accademia cinese delle scienze, all’Università di Xidian e all’Università di Zhengzhou. Il team ha cambiato approccio realizzando nanotubi di carbonio a parete singola sia come elettrodi anteriori che posteriori. Questi elementi hanno una larghezza di appena 2,2 nanometri, meno di un filamento di DNA umano. 

“I nanotubi di carbonio che utilizziamo sono molto trasparenti e conducono bene l’elettricità”, ha spiegato il dottor Jing Zhang, autore della ricerca pubblicata su Nature Communications. Il risultato parla da sé: la cella solare bifacciale in perovskite con i nuovi nanotubi di carbonio mostra un fattore di bifaccialità di oltre il 98 per cento. E una densità di generazione elettrica superiore al 36 per cento. Inoltre il costo del fotovoltaico bifacciale in perovskite con elettrodi interamente in carbonio è inferiore di circa il 70 per cento rispetto a quello di un dispositivo monofacciale i cui elettrodi sono ITO e argento.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.