Dalle ossa al solare in perovskite, un nuovo ruolo per l’idrossiapatite
(Rinnovabili.it) – Nuovi passi avanti per il solare in perovskite. Nell’ultimo decennio questa tecnologia hanno catalizzato parecchia attenzione grazie alla leggerezza, versatilità ed efficienza delle sue celle, oltre alla possibilità di essere prodotta tramite tecniche di stampa roll-to-roll. Peccato che uno dei risultati più promettenti è ancora legato all’impiego di perovskiti contenti piombo, metallo velenoso in grado di danneggiare seriamente il sistema nervoso e contaminare l’ambiente.
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A risolvere il dilemma “prestazioni vs. tossicità” è oggi un gruppo di scienziati dell’Università di Manchester. Prendendo lezioni da Madre natura, il professor Brian Saunders e il dottor David Lewis hanno escogitato un modo per impedire il rilascio del piombo in caso di danni o rottura delle celle.
Nel dettaglio, i ricercatori hanno incorporato nell’architettura un minerale di ispirazione biologica, l’idrossiapatite, uno dei componenti principali delle ossa. Grazie all’idrossiapatite il team ha creato una sorta di sistema di sicurezza, capace di catturare gli ioni piombo all’interno della sua matrice inorganica. Di conseguenza, se le celle fotovoltaiche venissero danneggiate, le tossine rimarrebbero nel minerale inerte senza entrare in contatto con l’ambiente. Il progetto ha anche scoperto che, grazie all’aggiunta di idrossiapatite, l’efficienza della cella solare in perovskite è aumentata raggiungendo circa il 21%. Ben tre punti percentuali in più rispetto alle unità di controllo. E una maggiore resa nei moduli significa che è possibile generare più energia a un costo inferiore.
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“Fino ad ora – spiega Saunders – il componente principale delle celle solari in perovskite è stato un potenziale problema ambientale. Creando un sistema di sicurezza all’interno del dispositivo, abbiamo escogitato un modo per contenere ioni tossici nelle cellule di perovskite danneggiate. Attraverso l’aumento della sicurezza intrinseca, speriamo che la nostra ricerca fornisca una mano per il più ampio impiego della tecnologia solare”. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Chemical Communications.