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DL Agricoltura e fotovoltaico a terra: le audizioni delle associazioni

Fotovoltaico in aree agricole
Foto di Andreas Gücklhorn su Unsplash

Nessuna ‘invasione’ dei terreni agricoli, il fotovoltaico a terra occuperebbe solo porzioni minime della superficie agricola. Anche nell’ipotesi – teorica – di massimizzare il ricorso ai pannelli sul terreno per raggiungere i target al 2030 l’occupazione di superficie agricola utile sarebbe minima, attorno allo 0,4-0,6%, che calerebbe ulteriormente con il ricorso all’agrivoltaico. Allo stesso tempo, però, se lo stop al ricorso delle aree agricole imposto dall’art. 5 del dl Agricoltura restasse in campo, ci sarebbe un impatto “drammatico” per l’industria del fotovoltaico. Conseguenze negative che si estenderebbero obiettivi di decarbonizzazione competitiva delle imprese industriali e sui prezzi dell’elettricità. Il primo giro di audizioni in Senato sul dl Agricoltura restituisce un quadro di grande preoccupazione espresso da un coro di critiche. 

“Non esiste nessuna invasione del fotovoltaico nei terreni agricoli” denuncia Elettricità Futura, ricordando che in base a dati GSE 9,2 GW di impianti fotovoltaici a terra utilizzano solo lo 0,05% del territorio nazionale che corrisponde allo 0,13% della superficie agricola utilizzabile. Per gli obiettivi del Piano elettrico 2030 REPowerEU, che richiedono 84 GW, di cui 57 GW di fotovoltaico servirebbe lo 0,2% del territorio italiano oppure lo 0,4% della superficie agricola totale, si tratta di 70mila ettari, poco o nulla rispetto ai 4 milioni di ettari di terreni agricoli abbandonati e ai 12,5 milioni di ettari di superficie agricola utilizzata, calcola EF. 

Va poi considerato che “il fotovoltaico a terra è la fonte che sta già abbassando le bollette italiane, se non ci fosse ne avremmo di più care”, aggiunge Italia Solare, ricordando che c’è in ballo anche la sicurezza energetica del Paese, quindi bene la sovranità alimentare “ma c’è anche la sicurezza energetica“. Ciò detto, avanti con i pannelli sulle coperture, sui tetti, ma non è vero che bastino solo quelle e inoltre spesso non sono adatte, avverte l’associazione, ricordando che proprio perché su tetti sono impianti più costosi, richiedendo maggiore complessità tecniche, e sono spesso meno produttivi, visto che la posizione non viene scelta ma si lavora sul tetto che c’è.

ANIE Rinnovabili concorda che i 50-60 GW di fotovoltaico da raggiungere sono “impossibili da ottenere se non modifichiamo l’art. 5” del dl Agricoltura, e “anche se si facessero tutti in zona agricola l’impatto sarebbe intorno allo 0,4% sul totale della superficie agricola utile e lo 0,6% della superficie totale agricola, e si può scendere sotto 0,2% con l’agrivoltaico“. E non si può fare tutto altrove “sui tetti il fotovoltaico per l’autoconsumo va fatto ma c’è il tema della disponibilità di tetti e della volontà di realizzare gli impianti” da parte di proprietari. Ammesso sempre che i tetti siano adatti.

Concorda AssoEsco, che segnala un “paradosso”: se le norme restano quelle risulta “impossibile realizzare il fotovoltaico a terra anche da parte degli imprenditori agricoli proprietari del terreno per l’autoconsumo nella stessa azienda agricola”. Altro paradosso: risulterebbe impossibile realizzare anche il fotovoltaico galleggiante. Essendo “quasi sempre installato su bacini e aree acquatiche che si trovano nella stragrande maggioranza dei casi in aree agricole, con questa generalizzazione anche tale tipologia impianti non potrebbe essere sviluppata“.

Non solo associazioni di settore. Anche Confindustria riconosce gli allarmi come poco fondati avvertendo delle conseguenze sui bilanci delle imprese. Per Viale dell’Astronomia “l’impatto sarebbe comunque minimo” anche realizzando solo con fotovoltaico a terra i 50 GW su 57 GW che ci mancano al 2030. Sarebbe necessaria una estensione territoriale pari a circa lo 0,4%-0,5% del suolo agricolo nazionale. Piuttosto, la norma che all’art. 5 del dl Agricoltura prevede limitazioni all’uso del suolo agricolo per l’installazione di pannelli fotovoltaici a terra “rischia di avere effetti che andrebbero oltre le sue finalità, impattando negativamente sulla produzione di energia rinnovabile necessaria a soddisfare gli obiettivi di decarbonizzazione competitiva delle imprese industriali“. Confindustria si attende che la crescita delle rinnovabili, “al momento al 36% del mix, porterà una riduzione del prezzo del mercato elettrico“.

Per Enrico Giovannini, direttore scientifico Asvis, Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, c’è un problema di coerenza rispetto alle decisioni del governo per quel che riguarda la Strategia di sviluppo sostenibile adottata a settembre: “Non è possibile parlare di principi di coerenza e poi avere provvedimenti spot non verificati. Se ogni provvedimento si dimentica cosa la Strategia ha detto a settembre, con una mano si fa e con l’altra si disfa“. 

Le audizioni proseguono domani dalle 8 con le associazioni del mondo dell’agricoltura.

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