(Rinnovabili.it) – Mentre gli Stati membri e la Commissione europea sono impegnati a rinegoziare i dazi antidumping sul fotovoltaico cinese, ventisei aziende attive nel settore solare del Vecchio Continente tentano la “scorciatoia” giudiziaria per far annullare le misure.
Jingao Solar, Yingli Energy, Canadian Solar e altre aziende (tutte cinesi ma con sedi in Europa) sono ricorse in appello davanti alla Corte UE con la richiesta di annullamento per le misure doganali. Le tasse sono state imposte da Bruxelles dopo un’indagine lunga ben due anni che ha rivelato come Pechino favorisse in maniera scorretta i propri produttori: attraverso generosi incentivi statali le aziende locali potevano vendere sul mercato estero celle e moduli a prezzi notevolmente inferiori alla concorrenza. Di qui la scelta di applicare all’import dalla Cina delle misure compensative (per una media di sovrapprezzo del 47,7%). In alternativa, le società possono accettare il prezzo minimo imposto dall’Unione Europea e mettere un tetto al volume massimo degli scambi commerciali.
Le autorità cinesi hanno sostenuto che l’Europa stia così danneggiando gli sforzi per combattere il cambiamento climatico, aumentando i prezzi di una tecnologia vitale per la transizione energetica in corso. Ma nonostante le proteste, in parte provenienti anche dall’industria europea – rappresentata da SolarPwer Europe – i dazi rimangono. Il Tribunale ha confermato le misure asserendo che debbano essere applicate anche quando i singoli componenti sono fabbricati in altri paesi, ma esportati come parte di un prodotto proveniente dalla Cina.
Respinte anche le accuse che i dazi siano eccessivi rispetto al danno prodotto all’industria solare europea. I ricorrenti sostenevano infatti che altri elementi avessero potuto causare un pregiudizio al settore UE, tra cui la dilagante crisi economica di quegli anni o il progressivo rimaneggiamento e i tagli degli incentivi nei mercati chiave, come Germania e Italia. Ma anche in questo caso non ci sono dubbi per la Corte UE che i produttori comunitari abbiano dovuto vendere a prezzi inferiori al loro costo di produzione celle e moduli fotovoltaici “principalmente come conseguenza del fatto che gli esportatori cinesi possedevano l’80% del mercato europeo e quindi avevano il potere di influenzare il meccanismo di elaborazione dei prezzi”.